Il salto nel buio della Catalogna. Cosa può succedere dopo il referendum

Dichiarazione di indipendenza, reazione militare della Spagna, processo costituente. Tutti gli scenari possibili dopo il referendum in Catalogna.

A pochi giorni dal referendum per l’indipendenza che si è tenuto in Catalogna, terminato con una larghissima vittoria dei sì all’autodeterminazione della regione, la tensione tra le autorità locali e quelle nazionali continua a salire.

Duro scontro tra il re Filippo VI e il leader catalano Carles Puigdemont

Nella serata di martedì, nel corso di un discorso pronunciato alla televisione, il re di Spagna Filippo VI ha attaccato duramente i dirigenti indipendentisti: “La società catalana è fratturata e attraversata da un conflitto”, ha spiegato, puntando il dito contro coloro che “si sono posti totalmente ai margini del diritto e della democrazia”. Il referendum, secondo il sovrano iberico, ha come unica finalità quella di “proclamare illegalmente l’indipendenza: una condotta irresponsabile che può mettere in pericolo la stabilità economica e sociale della Catalogna e di tutta la Spagna”.

La polizia locale accusata di non aver collaborato con la Guardia Civil

Alle parole del re ha risposto Carles Puigdemont, in un’intervista rilasciata all’emittente britannica Bbc nella quale ha affermato che la monarchia ha deciso di “ignorare deliberatamente” milioni di catalani. Il leader indipendentista a quindi annunciato il lancio a breve del processo che dovrebbe portare ad una dichiarazione ufficiale d’indipendenza. Inoltre, gli autonomisti della coalizione Junts pel Si (Insieme per il sì) e della Cup (la sinistra radicale) non hanno perso tempo, chiedendo al Parlamento regionale di riunirsi per affrontare la questione.

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Manifestanti indipendentisti per le strade di Barcellona ©Chris McGrath/Getty Images

Un ulteriore elemento di tensione tra Madrid e Barcellona è arrivato poi con la convocazione del capo della polizia catalana Josep Lluis Trapero Álvarez, assieme ad alcuni suoi collaboratori. Le forze dell’ordine locali, i Mossos, sono state accusate infatti di non essersi prodigate adeguatamente in soccorso degli agenti della polizia nazionale, la Guardia Civil. Questi ultimi, nel corso di una perquisizione effettuata lo scorso 20 settembre in un palazzo di Barcellona, sono state accerchiati da gruppi di manifestanti. I Mossos hanno spiegato però attraverso Twitter che “gli ordini sono stati rispettati alla lettera”.

L’opzione militare prevista dalla Costituzione spagnola

A completare il quadro c’è infine la rabbia dei catalani che domenica hanno manifestato nelle strade di Barcellona e di altre città: proteste che sono state represse in molti casi con la violenza dalla Guardia Civil. I feriti sono stati alla fine della giornata più di 900. La situazione, insomma, appare caotica. Non a caso il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha lanciato “un appello per il dialogo in Spagna, nel rispetto del quadro costituzionale”. Ma quali sono gli scenari concreti che è possibile immaginare a questo punto?

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L’articolo 155 della Costituzione spagnola, benché ancora mai evocato ufficialmente, consente al governo nazionale di obbligare con la forza una regione a rispettare la stessa Carta, qualora essa venga violata o nel caso di “attentato all’interesse generale dello stato”. Non si può dunque escludere che un’eventuale dichiarazione di indipendenza possa provocare una reazione concreta da parte di Madrid. Il giornale El Confidencial ha già annunciato l’invio dell’esercito a Barcellona, in appoggio logistico alla Guardia Civil.

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Una bandiera con la scritta “La Catalogna non è Spagna” ©Chris McGrath/Getty Images

La Catalogna vuole applicare uno Statuto già sospeso dal Tribunale costituzionale

I catalani sembrano tuttavia pronti ad applicare lo Statuto d’autonomia che è stato approvato (senza un reale dibattito e a maggioranza semplice) lo scorso 7 settembre dal Parlamento regionale. Esso prevede che la secessione debba essere proclamata entro 48 ore dalla trasmissione ufficiale dei risultati referendari alla stessa assemblea parlamentare locale. Seguirebbe l’avvio del “processo costituente” che prevede negoziati con le differenti forze politiche e con lo stato spagnolo. Quindi nuove elezioni locali – entro sei mesi – necessarie per la creazione di un’assemblea in vista di un secondo referendum che dovrebbe approvare la nuova Costituzione (ancora una volta dopo sei mesi, ovvero ad ottobre del 2018).

“Si tratta di un processo lungo e laborioso – ha spiegato un dirigente di Ciudadanos, partito d’opposizione che ha boicottato il referendum – che consentirebbe al governo catalano di guadagnare tempo. Potrebbe così tentare di trovare sostegno nella comunità internazionale e rafforzare il blocco indipendentista emarginando il Cup, considerato un alleato scomodo”. Difficile però immaginare che il primo ministro Mariano Rajoy e il re possano accettare senza colpo ferire una dichiarazione d’indipendenza. Inoltre, lo stesso Statuto catalano è stato sospeso dal Tribunale costituzionale spagnolo poiché considerato in violazione dell’articolo 2 della Costituzione spagnola del 1978, che sancisce “l’unità indissolubile della nazione”.  

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Il futuro della Catalogna appare difficile da prevedere dopo il referendum sull’indipendenza ©David Ramos/Getty Images

Unione europea, euro, economia: quale futuro per la Catalogna in caso di indipendenza

Cosa accadrebbe, infine, qualora il processo d’indipendenza dovesse essere completato, immaginando ad esempio un accordo tra Madrid e Barcellona (ipotesi ad oggi decisamente remota)? La Catalogna dovrebbe a quel punto chiedersi se potrà o meno restare nell’Unione europea. Da un punto di vista giuridico, infatti, la regione non sarebbe più legata dagli accordi firmati da Madrid e dovrebbe dunque lanciare una procedura di adesione secondo l’articolo 49 del Trattato Ue. Ma l’allargamento dell’Unione prevede il consenso unanime dei paesi membri: i catalani dovrebbero ottenere dunque un via libera anche dalla Spagna.

Allo stesso modo, la nuova nazione dovrebbe negoziare la propria appartenenza all’unione monetaria. Esistono già stati che non sono membri dell’Ue ma che adottano l’euro: Andorra, Kosovo, Montenegro, Principato di Monaco, San Marino e Città del Vaticano. Resterebbe però, ancora una volta, lo scoglio politico del probabile “no” di Madrid. Di contro, però, Barcellona potrebbe far valere il proprio peso economico: la Catalogna rappresenta infatti il 20 per cento del Pil spagnolo (il che significa un valore superiore a quello del Portogallo) e la sua economia appare particolarmente florida. Il tasso di disoccupazione locale è sensibilmente più basso di quello nazionale e le esportazioni sono pari al 25 per cento di quelle della Spagna. Si tratta inoltre della principale meta turistica della nazione, con 18 milioni di visitatori all’anno. A tutto ciò, Madrid rinuncerà difficilmente.

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