Un aumento del 30% rispetto all’anno precedente, che risente anche delle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Cavalli selvaggi dell’Aveto: gioiello dell’ecosistema ligure e attrazione naturale
I cavalli selvaggi del parco dell’Aveto sono una realtà italiana grazie all’opera infaticabile di etologi e naturalisti. In una cornice splendida come quella dell’Appennino settentrionale, aiutano a preservare la biodiversità che li circonda.
Cavalli selvaggi in Liguria come in un film western del regista John Ford? Sì, ed è una realtà che da qualche anno appassiona gli amanti degli equini e della natura, ma anche tutti coloro che hanno a cuore il benessere del nostro territorio e dell’ecosistema che ci circonda. Il parco dell’Aveto è una splendida oasi naturale situata nell’entroterra del Tigullio, una delle zone più belle e significative dell’Appennino ligure.
Il territorio protetto – poco più di tremila ettari – interessa tre distinte vallate: la val d’Aveto, la val Graveglia e la valle Sturla. Ciascuno di questi territori ha caratteri peculiari. C’è l’alta montagna, i paesaggi rurali con uliveti, castagneti e faggete. E i prati pascolati che si fondono con quelli contraddistinti da rocce e minerali presenti in cave e miniere nella val Graveglia. Il parco comprende un territorio prevalentemente in crinale, lungo lo spartiacque ligure/tirrenico che si estende fra i comuni di Santo Stefano d’Aveto, Rezzoaglio, Borzonasca, Mezzanego e Ne, nell’entroterra chiavarese. I territori interessati dalla presenza dei branchi di cavalli selvaggi sono la valle Sturla e l’alta val Graveglia.
I cavalli selvaggi nel parco dell’Aveto
I branchi del parco dell’Aveto sono l’eredità dei cavalli domestici che hanno lavorato nelle vallate per molti anni. Da quando il loro ultimo proprietario è morto – circa 20/25 anni fa – gli equini sono rimasti allo stato brado, adattandosi perfettamente al territorio che li ospitava e riproducendosi liberamente senza alcun contatto con l’uomo. L’etologia e l’ecologia di questi branchi sono paragonabili a quelli dei cavalli selvaggi americani o della Mongolia e rappresentano in Italia un’unicità e una risorsa naturalistica preziosa sia per lo studio in natura sia per il rapporto con l’ambiente e la conservazione dell’habitat.
Chi ha salvato questi splendidi animali
“Sono da molti anni un’appassionata frequentatrice delle valli del parco regionale dell’Aveto”, spiega la dottoressa Paola Marinari, referente pubbliche relazioni e sviluppo collaborazioni. “Era l’ottobre 2009 quando un amico mi informò del ritrovamento di due cavalli uccisi a fucilate nella zona della malga di Perlezzi. La notizia di questo macabro ritrovamento scatenò i sindaci contro i cavalli, come se la colpa della fucilazione non fosse dell’uomo, ma degli animali, invocando catture e macello per i superstiti. Amo i cavalli da sempre e trovai questo atteggiamento profondamente ingiusto.
Ho cominciato così a scrivere a tutti i politici regionali e nazionali per evidenziare e denunciare lo stato delle cose in val d’Aveto. Sono entrata in contatto in questo modo con il ministero della Salute, sezione Tutela animale e ho contattato una consigliera regionale che si è fatta promotrice di un tavolo di confronto tra sindaci, allevatori, asl e associazioni dal quale è scaturito un primo piano di gestione”.
Il progetto prevedeva però catture e allontanamento dal territorio dei cavalli, ma al momento era l’unica alternativa al macello. “Pensai allora che fosse necessario valorizzare la loro presenza, facendoli diventare una risorsa per il territorio in cui vivono. La Liguria è nota per le attività di whalewatching e allora perché non lanciare anche l’horsewatching, osservando cioè i cavalli selvaggi?”, aggiunge Marinari. Il fortunato incontro con Evelina Isola, naturalista, guida ambientale e amante del parco dell’Aveto, ha permesso all’obiettivo di concretizzarsi nel 2012 con la nascita proprio del progetto I cavalli selvaggi dell’Aveto.
I cavalli di questa zona, sebbene di origine domestica, hanno dato origine a nuove generazioni nate in natura e oggi presenti sul territorio. Questi branchi non sono definibili come “bradi”, un termine che è utilizzato per indicare una tipologia di allevamento con la presenza di un proprietario e l’eventuale abitudine al pascolamento libero, ma controllato. Si è scelta pertanto la definizione di “selvaggi” nella comunicazione divulgativa e promozionale. “Bisogna innanzitutto dire che in natura il cavallo selvatico non esiste più”, spiega la dottoressa Isola. “L’ultimo esemplare di cavallo euroasiatico, il Tarpan (Equus ferus ferus) si è estinto tra il 1918 e il 1919 in uno zoo in Ucraina. Da un recente studio pubblicato su Nature nel 2018 emerge come il genoma del cavallo di Przewalski (Equus ferus przewalski), il cavallo selvatico della Mongolia, non presenti in realtà le stesse caratteristiche del genoma dei suoi antenati vissuti prima dell’addomesticazione (circa 5500 anni fa)”.
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L’ospitalità garantita ai turisti
L’iniziativa prevede escursioni a piedi guidate sulle tracce dei cavalli selvaggi per osservarne il comportamento in natura, le dinamiche sociali e i cicli vitali. Il tutto privilegia anche la valorizzazione dell’aspetto turistico che è quello che con più immediatezza dona visibilità ai cavalli. “Grazie alla competenza della dottoressa Isola, abbiamo ottenuto l’attenzione dell’Università di Genova, permettendo al progetto di valorizzare l’aspetto eco ed etologico del branco selvaggio e portando avanti tirocini e tesi di laurea sul tema. Negli anni la presenza dei cavalli selvaggi ha dimostrato di essere un volano per il turismo della valle, e la nostra collaborazione con il Consorzio dell’ospitalità diffusa del parco, insieme alla creazione della rete delle strutture amiche dei cavalli, ci ha permesso di indirizzare i partecipanti alle nostre escursioni verso un’ospitalità genuina e di qualità, basata su tradizioni, entusiasmo e amore per la propria terra”, delucida Paola Marinari.
Un progetto importante per la natura
“Nel corso degli ultimi decenni sono cambiate le modalità di gestione del pascolo, con il risultato che non si è riuscito a sfruttare in modo ottimale tutta la superficie pascolabile e si sono innescati fenomeni di degrado o impoverimento floristico”, aggiunge Evelina Isola. “In caso di pascolamento eccessivo, infatti, si ha un impoverimento della flora e della qualità della superficie erbosa; al contrario in caso di sottopascolamento ne consegue un’invasione da parte di arbusti e la ‘chiusura’ dei pascoli stessi. Il pascolo equino esercita perciò un’azione importante nel miglioramento della diversità floristica, contribuendo a determinare un accrescimento nella conservazione della biodiversità connessa anche alle attività agro-silvo pastorali”. In questo modo i continui spostamenti dei branchi permettono ai terreni dove pascolano i cavalli di rigenerarsi periodicamente. E inoltre l’ampiezza del territorio del parco dell’Aveto e delle zone limitrofe consente agli equini di non interferire con le altre specie animali, incluso l’uomo.
I pericoli per i cavalli del parco
Proprio recentemente un brutto episodio ha funestato la tranquillità dei cavalli dell’Aveto. “Riceviamo spesso segnalazioni sui prelievi abusivi di equini selvaggi, soprattutto puledri, e sulla macellazione clandestina di questi animali”, racconta Paola Marinari. “La storia dello stallone Penn [ritrovato in un macello e fortunatamente salvato, ndr] è stata una grande opportunità per mettere in luce questa pratica abusiva”. Sulla vicenda ci sono indagini in corso per stabilire le reali responsabilità dell’accaduto. La vigilanza da parte degli organi di controllo nel caso dei branchi della val d’Aveto è fondamentale, così come l’attenzione e collaborazione degli abitanti che devono raggiungere la consapevolezza che la macellazione clandestina costituisce una minaccia alla salute pubblica oltre che ad un patrimonio naturalistico unico in Italia.
La necessità di riconoscere a questi animali uno specifico status giuridico
“Altrettanto fondamentale, e quanto mai urgente, è il riconoscimento di uno status giuridico per i cavalli selvaggi dell’Aveto”, aggiunge la dottoressa Marinari. “Per la normativa italiana il cavallo è un animale domestico, da reddito. Occorre, come succede in altre parti d’Europa, il riconoscimento per questo branco dello stato rewild (cioè inselvatichito) per potere mettere a punto strategie e strumenti di salvaguardia e gestione sostenibili, e per raggiungere una convivenza compatibile con le realtà rurali circostanti”.
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Di fatto i cavalli selvaggi dell’Aveto non possono essere considerati domestici, come vorrebbe l’attuale normativa (per la quale sono equiparabili a degli animali vaganti) e nemmeno selvatici. “Siamo di fronte ad un buco normativo, che va colmato con un inquadramento giuridico specifico per definire le popolazioni di cavalli (ma anche altri animali) che sono tornate a popolare le aree più selvagge del vecchio continente a seguito dell’abbandono delle campagne o della reintroduzione di specie diverse”, aggiunge Isola.
Ci sono, infatti, nei territori alcune minoranze che osteggiano la presenza dei cavalli selvaggi, e mettono spesso a rischio l’incolumità degli animali. “Vogliamo dare voce a questa realtà di grande valore naturalistico e sollecitare nelle opportune sedi un riconoscimento che, dopo dieci anni di lavoro sul campo, ci doni la certezza di potere essere la chiave di volta per la soluzione del problema, la reale salvaguardia dell’ecosistema e di questi equini”, conclude Marinari.
Lo scopo principale del progetto sembra fino ad ora rispettato. Comprendere il ruolo del cavallo nel nostro ecosistema come parte integrante e imprescindibile e come valore aggiunto al territorio che lo ospita, favorire la convivenza dei branchi con l’economia rurale e con la fauna selvatica delle zone: tutto questo fa dei cavalli selvaggi dell’Aveto una risorsa imprescindibile e importante per chi ama la natura e vuole proteggerne i valori fondamentali.
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