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La vita di Kazuyoshi Nomachi come fotografo comincia nel 1971 all’età di 25 anni quando compie il suo primo viaggio nel deserto africano del Sahara cercando di documentare le condizioni di vita difficilissime in cui versano le persone che da secoli abitano un ambiente a dir poco ostile. Da quel giorno, Nomachi non ha mai
La vita di Kazuyoshi Nomachi come fotografo comincia nel 1971 all’età di 25 anni quando compie il suo primo viaggio nel deserto africano del Sahara cercando di documentare le condizioni di vita difficilissime in cui versano le persone che da secoli abitano un ambiente a dir poco ostile. Da quel giorno, Nomachi non ha mai smesso. Da 40 anni rivolge la sua attenzione alle popolazioni e alle comunità che vivono in contesti talmente assurdi da dimostrare una forza unica. Un forza degna di essere testimoniata con scatti d’autore.
Kazuyoshi Nomachi è nato a Mihara, un villaggio giapponese, nel 1946 e a 23 anni inizia a studiare fotografia con Takashi Kijima, uno dei primi maestri di quest’arte in Giappone. Dopo la prima esperienza nel deserto, Nomachi prosegue la sua carriera come fotografo in Africa traendo ispirazione dall’acqua e dalla storia millenaria di uno dei fiumi più importanti al mondo: il Nilo. Un’esperienza quasi mistica cominciata nel 1980 che lo ha portato dal delta alla fonte, attraversando diversi stati dell’Africa orientale, dall’Uganda all’Etiopia.
Finita la sua esplorazione nel continente che ha dato vita all’umanità, nel 1988 Nomachi trasferisce la sua attenzione professionale su un altro continente eterogeneo e complesso: l’Asia. Qui viene attratto fin da subito dalla Cina e dalla sua storia piena di contrasti e contraddizioni. La popolazione che, come per il Sahara, ha attirato di più la sua attenzione per le difficoltà in cui versa è quella tibetana, di religione buddista. E come successo per il continente africano, anche qui decide di spingersi verso l’acqua, in questo caso del fiume Gange, in India, alla scoperta dei luoghi dove è nata la religione induista.
Quella islamica è al centro del suo viaggio in Arabia Saudita, dal 1995 al 2000, dove visita le città sacre della Mecca e di Medina. Mai nessuno prima di lui aveva documentato in modo così ampio e approfondito il pellegrinaggio di oltre due milioni di musulmani in visita alla loro città santa. Uno dei suoi ultimi reportage, infine, ha come obiettivo l’America Latina, gli altopiani delle Ande, il Perù e la Bolivia per capire e mostrare cosa lega il cattolicesimo alle civiltà indigene.
Nel 2013 a Nomachi è stata dedicata la prima mostra in Italia e in Occidente, a Roma. Quest’anno l’occasione si ripresenta a Monza con la più grande mostra dedicata al fotografo: Nomachi, Le vie dell’anima. I suoi scatti, pubblicati dalle più importanti riviste di settore al mondo, si possono apprezzare fino all’8 novembre presso la Villa Reale.
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