Come evitare che le città sostenibili restino un’utopia

Da anni il concetto di città sostenibili si fa strada, ma la loro diffusione resta per ora troppo frammentata in tutto il mondo.

Già oggi, circa il 56 per cento della popolazione mondiale vive in città. Parliamo di 4,4 miliardi di persone in tutto il mondo, e il dato in futuro aumenterà ulteriormente. Di qui al 2050, secondo i calcoli delle Nazioni Unite e della Banca mondiale, si dovrebbe arrivare a sfiorare il 70 per cento. Si tratta di una dinamica che ha inevitabilmente accentuato nel corso dei decenni i problemi che affliggono i centri urbani, a partire dai più grandi: inquinamento, congestione, cementificazione, esclusione sociale.

La sfida per le città sostenibili è al contempo ambientale, climatica e sociale

Ciò nonostante le città attraggono sempre di più, principalmente per ragioni economiche. India, Cina e Nigeria sono le nazioni al mondo che presentano la maggiore concentrazione di abitanti nelle aree urbanizzate. Di conseguenza, è su questi territori che, già aggi, si genera più dell’80 per cento del prodotto interno lordo mondiale. L’aumento della percentuale di persone che sceglie i centri urbani impone però un ripensamento radicale della loro concezione.

Nuova Delhi avvolta dall'inquinamento
Nuova Delhi avvolta dall’inquinamento © Amarjeet Kumar Singh/Anadolu Agency/Anadolu Agency via Getty Images

L’ampliamento della popolazione, soprattutto nelle metropoli, impone infatti una lunga serie di sfide, tutte legate a filo doppio a un’altra battaglia: quella per la sostenibilità. Che implica a sua volta numerosi aspetti: sociali, ambientali e climatici. Un esempio concreto è sufficiente per far comprendere le dimensioni della questione. La progressiva urbanizzazione nei prossimi decenni implicherà una domanda crescente di alloggi, alla quale occorrerà evidentemente apportare risposta. Se si vorrà far sì che quest’ultima sia anche sostenibile, occorrerà che queste abitazioni siano costruite in modo da minimizzare l’impatto in termini di sfruttamento di risorse naturali e di emissioni di gas a effetto serra. Dovranno al contempo essere il meno possibile energivore. Dovranno poi garantire un isolamento termico sufficiente a contrastare le ondate di caldo estremo che saranno inevitabili con i cambiamenti climatici (e che in città saranno ancor più violente). Infine, dovranno essere concesse a prezzi abbordabili per evitare di creare “ghetti sociali” e amplificare le già grandi disuguaglianze presenti nelle nostre società.

I nodi della mobilità sostenibile e delle aree verdi

Questa immensa mole di nuovi cittadini dovrà poi spostarsi per andare al lavoro, per effettuare acquisti, per accompagnare i figli a scuola o per qualsiasi altra attività. Di certo, se lo dovesse fare con veicoli privati, come spesso accade ancora oggi, il risultato sarà il caos. Occorrerà dunque una risposta anche dal punto di vista della mobilità sostenibile, ma servirà anche un piano di transizione per coloro che già oggi abitano in città, poiché anche per loro muoversi agevolmente assieme a centinaia di migliaia di nuovi concittadini potrebbe risultare impossibile.

Più che una transizione, ciò che sembra necessaria è insomma un’autentica rivoluzione ecologica. La realtà, infatti, è che le nostre città sono state concepite in un’epoca completamente diversa da quella attuale. Basti pensare alle strade, che faticano ad accogliere automobili sempre più sovradimensionate. O alle aree verdi, che sono spesso largamente insufficienti e che però saranno determinanti per contrastare l’effetto isola di calore prodotto dalla presenza imponente di cemento, palazzi, asfalto.

Le sfide crescenti per le città costiere

O ancora alla necessità di rispondere all’esposizione delle città costiere al processo di innalzamento del livello dei mari. Basti pensare che, dal 1985 a oggi, la superficie di zone urbane esposta a rischio di sommersione di oltre 0,5 metri è aumentata di 76.400 chilometri quadrati. Parliamo di 50 volte la superficie di una metropoli come Londra, periferie incluse. Tanto che oggi, in tutto il mondo, circa 1,81 miliardi di persone vivono in zone ad alto rischio di inondazione, comprese le piane fluviali.

Ma allora, le città sostenibili sono un’utopia o sono davvero realizzabili? La risposta è complessa. Il cambiamento, come accennato, investe talmente tanti aspetti da dover incidere sulla morfologia e sulla concezione stessa dei centri urbani. Tanto che alcuni autori si interrogano sulla effettiva compatibilità tra il sistema economico e sociale attuale e l’esigenza di agire sulla crisi ambientale e climatica. Occorre ripensare, in altre parole, il modo stesso in cui gli abitanti delle città ne occupano il territorio, per scongiurare il rischio di un processo che generi luoghi (ancor più, in molti casi) invivibili.

Nuova Delhi, capitale dell’India, è in questo senso una delle megalopoli che in assoluto presentano più problemi. Si tratta della seconda città più popolosa del mondo (dopo Tokyo in Giappone): casa per 25 milioni di persone. Per comprendere l’esplosione demografica urbana di cui è oggetto, basti pensare che potrebbe raggiungere i 36 milioni nei prossimi anni. Situazioni analoghe si registrano poi a Shanghai, Città del Messico, Bombay, San Paolo o ancora Osaka.

Città sostenibili: agire localmente sui problemi globali mitigando l’urbanizzazione

Ma concretamente, cosa occorre per creare delle città sostenibili? Si potrebbe pensare che basti piantare alberi e creare qualche spazio verde in più. In realtà, invece, gli interventi necessari sono numerosissimi: è fondamentale ad esempio de-impermealizzare il territorio, per permettere un assorbimento più facile e rapido dell’acqua in caso di inondazioni. Ripensare l’architettura degli edifici, anche banalmente dipingendoli di colori chiari per riflettere i raggi solari. Sfruttare i tetti per costruire pannelli solari e per opere di vegetalizzazione.

Rigenerazione urbana
La mobilità è un nodo centrale per la creazione di città sostenibili © Pexels

Cambiare questi luoghi significa dunque contribuire in modo determinante a risolvere problemi ben più ampi. “La nozione di città sostenibile permette di farsi carico e di agire su scala locale, quella di un centro urbano o di un quartiere, su problemi globali”, aveva notato già nel 2007 Cyria Emelianoff, docente di Spazi geografici e società presso l’università di Angers, in Francia. Fondamentalmente, si tratta di una “mitigazione” dell’urbanizzazione stessa. La maggior parte delle risposte punta infatti a “reintegrare” la natura in città: non a caso, spesso si usa il termine “verdi”, come nel caso delle “Capitali” che ogni anno sono nominate dall’Unione europea come esempi virtuosi in questo senso: dalla prima, Stoccolma, nel 2010, all’ultima Guimarães, che lo sarà nel 2026. Passando per Amburgo, Vitoria-Gasteiz, Copenaghen, Essen, Oslo, Grenoble e Talllin, tra le altre (nessuna delle quali è italiana).

La rete di città in transizione C40

Anche per questo è nato nel 2005 il gruppo C40, rete globale di quasi cento sindaci delle principali città del mondo che sono uniti nell’azione per affrontare la crisi climatica. Ne fanno parte ormai 94 grandi città (più sei osservatrici) di 49 diverse nazioni, che rappresentano 600 milioni di abitanti e il 25 per cento del prodotto interno lordo mondiale. E anche, a dimostrazione del “peso” dei centri urbani nelle battaglie ambientali, il 70 per cento delle emissioni mondiali di gas a effetto serra.

Secondo la rete, “nell’ultimo decennio, città, regioni e stati si sono affermati come forza trainante per le soluzioni climatiche. Dall’Accordo di Parigi del 2015, i leader locali hanno trasformato le promesse in progressi, riducendo le emissioni, investendo in trasporti puliti, espandendo le foreste urbane, creando posti di lavoro verdi e portando soluzioni direttamente alle comunità che ne hanno più bisogno. In tutto il mondo, dalle strade di Bogotà alla più grande zona ad aria pulita del mondo a Londra, le città stanno dimostrando al mondo che un futuro equo, resiliente e sostenibile non è solo una visione. È già in atto”.

Da Città del Capo a Parigi, le città cercano di cambiare volto

Gli esempi virtuosi, in effetti, non mancano. Come nel caso di Quezon city, nelle Filippine, dove il dispiegamento di veicoli elettrici sta contribuendo a limitare le emissioni climalteranti e l’inquinamento locale. Metropoli come Londra hanno avviato piani per limitare la presenza di auto, a partire dalle più inquinanti. A Città del Capo, in Sudafrica, un parco solare permetterà di alimentare 28mila case, evitando 114mila tonnellate di emissioni di CO2 all’anno.

A Parigi sono stati creati duemila chilometri di nuove piste ciclabili e di punta allo stop ai veicoli a motore termico entro il 2030. A Los Angeles le famiglie a basso reddito possono beneficiare di un programma di sostegno per il passaggio al fotovoltaico.

Gli abitanti di Parigi hanno votato a favore di un aumento delle tariffe di parcheggio per i suv
Gli abitanti di Parigi hanno votato a favore di un aumento delle tariffe di parcheggio per i suv © Mohamad Salaheldin Abdelg Alsayed/Anadolu via Getty Images

Gli ecoquartieri, tra virtuosismi e rischi di oasi per cittadini ricchi

In molti casi, le città sostenibile includono poi progetti di ecoquartieri. Si tratta di luoghi trasformati, o concepiti ex-novo, rispettando criteri sociali, ambientali e climatici. Tuttavia, ad anni di distanza dal lancio di tali iniziative, c’è anche chi mette in guardia su possibili “distorsioni”. Nel suo libro intitolato provocatoriamente “Contro la città sostenibile”, il ricercatore Marrhieu Adam del Centro nazionale della ricerca scientifica (Cnrs) francese spiega che spesso le principali motivazioni che spingono i Comuni a lanciarsi in progetti di ecoquartieri non sono legate all’ecologia o alla risposta che occorre dare agli abitanti della città. L’obiettivo è piuttosto quello di attirare nuovi capitali e popolazione ricca.

In questo senso è emblematico l’esempio del progetto di Vauban a Friburgo, in Svizzera, spesso citato come esempio di ecoquartiere- “La volontà dichiara di integrare l’ecologia come motore di crescita non si traduce qui in una rottura con l’accumulo ecocida”, accusa il ricercatore. Secondo il quale occorre coniugare questi progetti con la riscoperta del valore dei beni pubblici, senza avere la crescita e l’aumento della ricchezza come unico faro.

Le città sostenibili per ora sono frammenti: per renderle la normalità serve una mobilitazione collettiva

In conclusione, è possibile affermare che le città sostenibili non sono un’utopia. Al contrario, esistono già. Ma in modo frammentato. Come “puntini verdi” che però stridono ancora con il troppo grigio e nero circostante. Possono assumere la forma di una pista ciclabile, di un edificio ricoperto di boschi verticali, di alveari installati nei parchi o di nuovi arredi urbani basati sul concetto di vegetalizzazione. Ma questi frammenti sono ancora troppo dispersi. Ripartiti in modo diseguale, rischiano perfino di alimentare le differenze sociali che si dovrebbe invece operare per ridurre. E troppo spesso sono figli di concezioni di breve termine, che scontano la spada di Damocle del rischio di tagli di bilancio, così come di barriere culturali.

Ciò non significa che si debba pretendere che le nostre città si trasformino totalmente e in breve tempo. Si tratta però di accettare che una transizione è inevitabile, giusta e che deve investire tutti: decisori politici, enti locali, governi, cittadini, architetti, imprese, ciascuno col proprio ruolo. Deve diventare un patrimonio culturale comune, sorretto da una volontà politica condivisa, da un’ingegneria urbana capace, da risultati misurabili e da finanziamenti adeguati. Per rendere le città sostenibili luoghi virtuosi nei quali vivranno i nostri figli, e non solo oasi popolate per lo più da persone agiate, occorre che la trasformazione assuma la forma di una mobilitazione collettiva.

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