
L’Agenzia europea per l’ambiente ha valutato le perdite in termini economici e di vite legate agli eventi estremi tra il 1980 e il 2023.
Aumenta la quantità di emissioni che possiamo rilasciare in atmosfera per riuscire a rispettare l’Accordo di Parigi e restare così “ben al di sotto” dei 2°C di aumento delle temperature medie globali. È una revisione al rialzo quella pubblicata da un team di scienziati guidata da Richard Millar, dell’Università di Exeter, nel Regno Unito, e
Aumenta la quantità di emissioni che possiamo rilasciare in atmosfera per riuscire a rispettare l’Accordo di Parigi e restare così “ben al di sotto” dei 2°C di aumento delle temperature medie globali. È una revisione al rialzo quella pubblicata da un team di scienziati guidata da Richard Millar, dell’Università di Exeter, nel Regno Unito, e pubblicata lo scorso 18 settembre con un articolo scientifico su Nature Geoscience.
La ricerca calcola un carbon budget (la quantità di emissioni di CO2 che possiamo “permetterci” di rilasciare in atmosfera per limitare l’aumento delle temperature) diverso dal precedente, ovvero stima che avremmo 880 gigatonnellate (miliardi di tonnellate) di CO2 ancora da emettere. Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) nei modelli precedenti dava come limite 250 gigatonnellate, valore estremamente più basso. “Questo (dato) corrisponde a circa 20 anni al tasso annuale di emissioni di oggi, o in alternativa, una riduzione lineare dei valori di oggi a zero, in circa 40 anni”, scrive Millar in un post su Carbon Brief.
In particolare Millar e soci hanno preso come riferimento lo scarto di temperatura che rimane per rispettare l’Accordo di Parigi, ovvero 0,6°C (oggi la temperatura media globale è già aumentata di 0,9°C rispetto alla media pre-industriale), e hanno calcolato la quantità di gas serra che possiamo ancora emettere per non superare quei livelli che gli stessi scienziati ritengono potenzialmente catastrofici.
New Climate Study Doesn’t Contradict #globalwarming, No Matter What Breitbart Says https://t.co/X9efF7pk1y #climatechange #renewables
— NormaGP (@norma__77) 23 settembre 2017
Ciò ovviamente non significa, come molti scrivono, che gli scienziati dell’Ipcc avessero sbagliato i modelli, ma semplicemente che la modellistica climatica è una branca estremamente complessa e in continua evoluzione. Infatti le conclusioni sono e rimangono le stesse, ma con un velato senso di ottimismo. Lo stesso Millar subito dopo la firma dell’Accordo di Parigi dichiarò che il limite prefissato e gli enormi sforzi che la società odierna avrebbe dovuto compiere andavano “contro lo stesso concetto di democrazia”.
Concetto espresso anche dal professor Pierre Friedlingstein dell’Università di Exter, consulente per il bilancio di carbonio per l’Ipcc e co-autore dello studio. “Le stime precedenti del bilancio di carbonio per rimanere entro l’1,5°C, basate sull’ultimo Rapporto di Valutazione dell’Ipcc (AR5) sono risultate di circa quattro volte inferiori. Quindi, questa è una buona notizia per la realizzazione degli obiettivi di Parigi. La quinta valutazione non ha affrontato in modo specifico le implicazioni dell’obiettivo molto ambizioso di 1,5°C, mentre in questo caso noi abbiamo utilizzato molteplici evidenze sperimentali”, confermando che “l’ambizione di Parigi ha sorpreso gran parte della comunità scientifica”.
Il dibattito, subito dopo la pubblicazione dello studio, si è acceso. C’è chi in un certo senso critica i risultati ai quali è giunto lo studio, mentre c’è chi esulta in maniera forse troppo decisa. Sta di fatto che gli stessi autori della ricerca sono estremamente chiari: “I Paesi devono uscire dal carbone e rafforzare i loro obiettivi esistenti in modo da mantenere aperta la possibilità di rispettare gli obiettivi di Parigi. Prima le emissioni inizieranno a calare, minore sarà il rischio non solo di uno sconvolgimento climatico, ma anche di quello economico che altrimenti potrebbe derivare dalla necessità di riduzioni successive a tassi storicamente senza precedenti, se l’azione a breve termine dovesse rimanere inadeguata”.
Il 2015 e il 2016 hanno segnato un record in negativo per quanto riguarda la concentrazione di CO2 in atmosfera. Il picco di 410 ppm misurato dall’Osservatorio di Manua Loa, avrebbe tra le cause anche El Nino, come confermato dagli scienziati della Nasa. Che il fenomeno avesse avuto un ruolo fondamentale era nelle previsioni dei ricercatori, ma mancava la conferma, arrivata lo scorso 12 ottobre. Nel nuovo studio fornito dalla Nasa i ricercatori hanno infatti concluso che gli impatti del caldo anomalo e della siccità provocati da El Nino e verificatesi nelle regioni tropicali dell’America meridionale, dell’Africa e dell’Indonesia, siano stati responsabili del record di anidride carbonica a livello globale.
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