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Mentre i militari sono concentrati negli interventi di contenimento della Covid-19 nelle città, nelle aree rurali della Colombia la guerriglia ha campo libero. L’accordo di pace sembra sempre più fragile.
Il presidente della Colombia, Iván Duque ha prolungato il lockdown per la popolazione fino all’11 maggio e gli ultimi dati relativi al paese riportano un totale di 5.597 casi di coronavirus e 253 decessi ad esso legati. Se da un lato, proprio grazie alla quarantena, la polizia sta registrando un drastico calo dei reati e degli omicidi nelle strade delle città, nelle zone rurali si teme il peggio: le forze militari sono state dislocate nei grandi centri urbani e, non appena si crea un vuoto, narcotrafficanti e guerriglieri lo occupano.
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Gli omicidi si fanno fatica a contare; dall’analisi dell’ong Front line defenders, nel 2019 la Colombia è stata al primo posto per violenza contro gli attivisti con 103 omicidi, ma lo scenario generale è ancora più nefasto e complesso. Con la destra al potere, i dubbi sui progressi dell’accordo di pace con i guerriglieri sono ormai dilaganti, e a questo si aggiunge ora la preoccupazione che il governo, impegnato nella lotta contro il virus, sospenda gli interventi previsti nel trattato.
L’ultimo a perdere la vita è stato l’ambientalista Alejandro Llinás Suárez, 70 anni, ucciso il 24 aprile. Era impegnato nella difesa del Parco nazionale di Tayrona, nel nord del paese, ed è stato freddato pochi giorni dopo aver denunciato la presenza di gruppi paramilitari nell’area di Calabrazo che, controllando le strade con pedaggi illegali, impedivano il transito regolare.
Floro Samboní Gómez, 56 anni, era invece un agricoltore e un attivista del dipartimento del Cauca, a sud. Nella stessa regione il leader Hugo de Jesus Giraldo, 62 anni, è stato assassinato il 22 aprile scorso. Era un contadino, docente e difensore dei diritti umani. Lavorava per un’associazione locale impegnata nella tutela dei piccoli produttori agricoli, il cui presidente Mario Chilueso era stato ammazzato solo tre giorni prima.
A richiamare con forza l’intervento di Duque, sia sul tema della sicurezza personale che dell’emergenza sanitaria, sono anche gli ex combattenti delle Farc (le Forze armate rivoluzionarie della Colombia). Il rischio è che, non vedendo mantenute le promesse sottoscritte nel programma di pace, decidano di abbandonarlo per riprendere in mano le armi.
Il gruppo armato dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), dopo una tregua imposta dal segretario delle Nazioni Unite António Guterres, ha dichiarato che non ci sarà nessuna proroga e che imbraccerà nuovamente le armi.
In merito alle misure di protezione contro la Covid-19, il Consiglio nazionale di reinserimento delle Farc (Cnr-Farc), organismo dell’accordo di pace, in un documento ufficiale chiede che venga fornito l’accesso all’acqua potabile, che ad oggi è garantito solo al 38 per cento delle persone coinvolte nel programma, e la creazione di un sistema di assistenza sanitaria permanente, con la presenza di personale medico e non solo infermieristico e la garanzia di reperibilità dei farmaci. La comunità delle ex Farc della Tierra Grata, nella regione di Cesar, si è mobilitata autonomamente e ha portato acqua ed energia elettrica nelle proprie abitazioni non aspettandosi orma più nulla dal governo nazionale.
“La maggior parte degli ex combattenti che sono entrati nel programma ha mantenuto l’impegno: si parla di 13mila persone che devono essere sostenute perché restino a vivere nella società civile e non ritornino alla guerra – ci spiega al telefono Camilo Rueda, giornalista del Cnr-Farc –. L’accordo dell’Havana prevede un capitolo sulla garanzia di sicurezza per gli ex combattenti, per i leader sociali e i difensori dei diritti umani, ma il partito del governo, il Centro democratico che si è espresso esplicitamente contro il processo di pace, ne ha ritardato l’attuazione”.
Dalla firma dell’accordo nel novembre 2016 ad oggi, sono 194 gli ex membri delle Farc ad aver perso la vita in agguati. Sei solo durante il periodo iniziale della quarantena, da fine marzo a metà aprile.
“Di fatto, dopo l’accordo le Farc si sono smobilitate in maniera compatta – spiega Vittorio Rinaldi, esperto in cooperazione internazionale con un lunga esperienza in America Latina, antropologo e già presidente di Altromercato –. Oltre alle armi hanno chiaramente rinunciato al controllo del territorio, che i paramilitari hanno immediatamente occupato. Un segnale fortissimo della fragilità del processo di pace è stata la dichiarazione del numero uno del gruppo armato, Ivan Marquez che, dopo essere stato uno dei principali negoziatori nelle trattative con il governo, il 29 agosto scorso ha annunciato di essere tornato alla guerriglia come risposta al tradimento dei patti firmati all’Havana”.
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