
Ma Jun è uno scrittore e precursore della difesa dell’ambiente in Cina. Dal 2006 dirige a Pechino una ong che monitora l’inquinamento. L’intervista esclusiva.
Sono passati 30 anni dalla strage di piazza Tienanmen, in Cina, quando l’esercito uccise centinaia di manifestanti che chiedevano riforme e democrazia.
30 anni fa, nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989, in piazza Tienanmen a Pechino (Cina), l’esercito cinese uccideva centinaia di manifestanti che da mesi protestavano per chiedere al governo di intraprendere la strada delle riforme e della democrazia. La tragica conclusione di questa serie di proteste è ricordata in tutto il mondo come la strage di piazza Tienanmen. L’inizio, invece, coincide (aprile) con la marcia per le strade di Pechino di centinaia di migliaia di studenti e lavoratori che chiedevano più libertà (politiche, sociali ed economiche) e meno corruzione. Il 13 maggio 1989 gli stessi studenti cominciavano uno sciopero della fame.
Dopo aver tollerato le proteste, il governo cinese decise di proclamare la legge marziale in tutto il paese consentendo ai carri armati di entrare nella piazza di Pechino. Qui, secondo l’organizzazione che si occupa di diritti umani Amnesty International, vennero uccise mille persone. Nel video, uno dei pochi momenti documentati e rimasti nell’immaginario collettivo quando si parla della strage: un uomo con due buste della spesa in mano ferma con il suo corpo una fila di carri armati.
Ancora oggi, il governo cinese censura ogni ricordo e celebrazione di quella notte, su internet e attraverso repressioni e forme di intimidazione.
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