Crisi climatica, i paesi in via di sviluppo vogliono fare causa a quelli più ricchi

I piccoli stati insulari guidati da Antigua e Barbuda chiedono che il costo della crisi climatica sia pagato da chi ha emesso più gas ad effetto serra.

I paesi sviluppati potrebbero dover risarcire le nazioni più povere per i danni causati dalla crisi climatica. È quanto richiesto, durante i lavori della Cop26 in corso a Glasgow, da parte di una confederazione di stati insulari guidati dalle isole di Antigua e Barbuda e Tuvalu.

L’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), che raccoglie 39 nazioni tra gli oceani Indiano, Pacifico e Atlantico, sta preparando, infatti, una causa legale del valore di centinaia di miliardi di euro da presentare alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia.

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Una donna davanti alla sua casa distrutta dall’uragana Irma, Barbuda, 2017 © Spencer Platt/Getty Images

Non fate la carità

Dalle tempeste all’innalzamento dei mari, le isole sono le nazioni più vulnerabili agli effetti della crisi climatica e la questione di chi paga per le ricadute di questa emergenza è uno dei principali punti critici nei negoziati alla conferenza delle Nazioni unite sul clima in Scozia.

Commentando il piano da oltre 100mila miliardi per decarbonizzare gli asset finanziari, il ministro dell’Ambiente di Antigua e Barbuda Molwyn Joseph ha spiegato che le sue isole stanno affrontando gli eventi estremi peggiori pur inquinando meno di altri e per questo motivo hanno diritto a un risarcimento da parte delle nazioni più ricche. Non una carità. “Coloro che emettono più gas ad effetto serra non vengono sanzionati”, è quanto ha spiegato Molwyn Joseph alla testata tedesca Dw. “Le nazioni più ricche non sembrano aver capito quale disastro devono affrontare i piccoli stati insulari in via di sviluppo a causa del riscaldamento globale”.

Chi paga per la crisi climatica

Gli attuali negoziati sui finanziamenti per il clima si sono concentrati principalmente su come aiutare i paesi a sviluppare le proprie economie verdi, come ridurre le emissioni di gas serra e a come adattarsi a un mondo più caldo. Ciò che finora non è stato affrontato in dettaglio è il problema delle perdite e dei danni.

“I piccoli stati insulari in via di sviluppo hanno bisogno di un impegno in questa Cop per affrontare urgentemente il problema dei danni economici”, ha aggiunto Molwyn Josep. “Nel più breve tempo possibile, in modo che paesi come il mio non debbano aspettare quattro anni per riprendersi da un disastro. Abbiamo vissuto infatti una catastrofe nel 2017 e stiamo ancora cercando di risollevarci, mentre il governo si è indebitato”.

Il meccanismo di Varsavia non è stato rispettato

Non è la prima volta che il gruppo Aosis pone il problema dei risarcimenti durante una Cop. Nel 2013, la diciannovesima edizione della conferenza sul clima, tenutasi a Varsavia si era conclusa con l’istituzione del Warsaw international mechanism for loss and damage, uno strumento per aiutare i paesi vulnerabili a far fronte agli impatti devastanti del disastro climatico. Sebbene sia stato riaffermato nell’Accordo di Parigi, negli anni successivi i paesi sviluppati non hanno assunto alcun impegno finanziario concreto.

Diversi studi suggeriscono che i danni a causa del clima costeranno ai paesi in via di sviluppo, entro il 2030, da 345 a 500 miliardi di euro all’anno. “Chiediamo ai leader mondiali non solo di impegnarsi, ma di mettere i soldi sul tavolo”, ha esortato Amath Pathe Sene, esperta di clima e ambiente per l’Africa occidentale e centrale presso il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad). “Penso che il modo in cui il mondo ha reagito alla pandemia, agendo molto rapidamente con miliardi di dollari, dovrebbe essere replicato anche nel caso dei cambiamenti climatici”.

Una tassa sul petrolio per pagare i danni del clima

Le proposte non mancano. Lo stesso ministro dell’ambiente di Antigua e Barbuda suggerisce di imporre una tassa sul petrolio: “Ogni giorno, nel mondo, si scambiano 90 milioni di barili di petrolio. Se venisse applicata una tassa di 1 dollaro per barile, si potrebbero raccogliere abbastanza soldi per affrontare il problema delle perdite e dei danni”.

Quella dell’azione legale è una strada che Antigua e Barbuda, insieme a Tuvalu e alle altre isole, potrebbe intraprendere qualora la Cop in corso si concludesse senza un accordo. “Ci dispiace dover arrivare a questo. Ma finora siamo rimasti inascoltati”, è la triste conclusione del ministro Molwyn Joseph. La minaccia di passare attraverso i tribunali basterà per superare le difficoltà incontrate nei negoziati di Glasgow?

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