La procura di Istanbul ha formulato le accuse nei confronti dell’ex sindaco Ekrem Imamoglu. I capi d’accusa per l’oppositore di Erdoğan sono 142 per oltre 2.500 anni di carcere.
Secondo Le Monde, la Turchia avrebbe accettato il cessate il fuoco in Siria a condizione di evitare la creazione di uno stato autonomo dei curdi.
Mentre il mondo intero apprendeva con gioia la notizia della tregua nel conflitto in Siria, nel nord della stessa nazione mediorientale c’è chi ha reagito con molta più prudenza. L’accordo tra Russia, Turchia, Siria e ribelli – riferisce un’analisi del quotidiano francese Le Monde – potrebbe essere stato raggiunto sulla base di precise condizioni, una delle quali, imposta dal presidente turco Erdogan, sarebbe stata particolarmente chiara: evitare a tutti i costi che i curdi possano creare un loro stato. Il prezzo più alto del cessate il fuoco finalizzato da Mosca e Ankara, dunque, potrebbe essere pagato proprio dalle milizie curde dell’Ypg (Unità di protezione popolare).
Per cercare di decifrare le conseguenze del rimescolamento di carte avvenuto negli ultimi giorni in Siria, è necessario analizzare con attenzione le notizie relative ai luoghi nei quali ancora si combatte. Il cessate il fuoco, infatti, non riguarda le operazioni effettuate per contrastare i combattenti dell’Isis. Così, proprio mentre Mosca e Ankara finalizzavano, assieme al governo di Damasco, lo stop alle operazioni militari valido sull’intero territorio della Siria, l’agenzia di stampa turca Dogan annunciava un bombardamento effettuato da parte dell’aviazione russa. L’operazione, portata a termine nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi, è stata effettuata sulla città settentrionale di Al-Bab. La grande novità è che per la prima volta la Turchia (paese membro della Nato) ha ricevuto un appoggio aereo diretto dalla Russia.
A questo punto occorre un passo indietro. L’offensiva militare della Turchia in Siria, finalizzata a respingere gli jihadisti e i combattenti curdi siriani verso sud, era stata lanciata il 24 agosto scorso. Battezzata “Scudo dell’Eufrate”, l’operazione aveva ricevuto un ok da parte di Mosca ed ha ottenuto una serie di successi contro l’Isis nelle località di Djarabulus, Al-Rai e Dabiq. Così, i militari turchi si sono lanciati alla conquista di Al-Bab. Già assediata da sud dall’esercito siriano e da est proprio dai curdi dell’Ypg, che da anni si battono contro gli integralisti islamici.
Grazie al loro impegno, i curdi hanno ottenuto nel tempo l’appoggio delle forze statunitensi, anch’esse impegnate nel fitto groviglio siriano. In particolare, i miliziani curdi hanno conseguito importanti avanzamenti nella battaglia che porta verso Racca, ultimo bastione dello Stato Islamico in Siria, proprio al fianco di unità speciali americane.
Ciò nonostante, Erdogan continua a vedere nei curdi siriani unicamente i fratelli in armi del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, classificato come “organizzazione terroristica” da Ankara. “Se blocchiamo la nostra offensiva – ha spiegato il presidente turco – ci ritroveremo con un nuovo trattato di Sèvres”. Il riferimento è a un documento, mai ratificato e datato agosto 1920, che prevede la creazione di un territorio curdo nel sud-est della Turchia. In questo, Erdogan ha ricevuto di fatto l’appoggio del nemico Assad.
“I raid aerei russi su Al-Bab non annunciano nulla di buono per i curdi siriani – scrive Le Monde -, poiché il nuovo partenariato russo-turco è stato stretto a loro spese. Putin ha concesso ai curdi un sostegno di facciata (un aiuto militare e l’apertura di una rappresentanza a Mosca nel mese di febbraio), ma il Cremlino li ha poi abbandonati”. Tanto che i curdi non sono stati neppure invitati ai negoziati di pace organizzati dalla Russia a gennaio ad Astana.
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