Il Sud del mondo sta chiedendo troppo ai paesi ricchi in termini di fondi per poter affrontare la crisi climatica? La domanda è stata posta da più persone nel corso e dopo la fine dell’ultima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop29 che si è svolta a Baku, in Azerbaigian. In quell’occasione, infatti, la richiesta delle nazioni meno abbienti e più vulnerabili di fronte agli impatti dei cambiamenti climatici è stata di 1.300 miliardi di dollari all’anno. La cifra è stata menzionata in uno dei documenti approvati, ma solo come auspicio. Concretamente, la promessa avanzata nero su bianco è di raggiungere, a termine, soltanto 300 miliardi.
Il peso dei tassi di interesse sul debito estero
Di conseguenza, i paesi in via di sviluppo hanno manifestato una forte delusione. Ma alcuni tra quelli ricchi hanno storto il naso, considerando la cifra persino eccessiva. Chi ha ragione dunque? Per rispondere alla domanda può essere utile tenere in considerazione le cifre contenute nell’ultima edizione dell’International Debt Report 2024 (Rapporto internazionale sul debito) pubblicata martedì 3 dicembre dalla Banca mondiale.
Just Launched: Developing countries paid a record $1.4 trillion on foreign debt in 2023, squeezing budgets for health, education, and the environment.
Il documento spiega infatti che proprio i paesi in via di sviluppo hanno dovuto sborsare una cifra record per far fronte al loro debito estero: 1.400 miliardi di dollari soltanto nel corso del 2023. Ciò in ragione dell’aumento generalizzato dei tassi di interesse, che esattamente come incide sulla rata di un mutuo a tasso variabile, pesa anche sull’esposizione debitoria degli stati.
96,2 miliardi di dollari pagati dalle nazioni più povere del mondo
Di tale cifra, i “paesi più poveri e vulnerabili” hanno pagato 96,2 miliardi di dollari, di cui quasi 35 miliardi soltanto per gli interessi. Anche in questo caso si tratta di cifre record: i tassi corrisposti da tali nazioni sono raddoppiati nel corso degli ultimi anni, superando in media il 4 per cento nel caso dei prestiti concessi da controparti pubbliche. Mentre per quanto riguarda quelli ricevuti da privati, si è toccato il 6 per cento.
Si tratta di livelli oggettivamente insostenibili, soprattutto se si tiene conto del fatto che, appunto, parliamo di una cifra complessiva superiore a ciò che sarebbe necessario per affrontare in modo efficace una sola “voce” di spesa: quella appunto legata alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento ai loro impatti. È del tutto evidente che per numerose nazioni diventa impossibile, in queste condizioni, fare la loro parte per portare avanti la necessaria transizione ecologica, modificare i propri sistemi produttivi, chiudere centrali a carbone e aprire parchi solari o eolici.
“Il denaro esce dalle economie povere, anziché entrarvi”
La situazione, tra l’altro, non sembra poter migliorare nel breve termine: “Benché i tassi di interesse stiano cominciando a scendere lentamente, restano ancora oggi superiori alla media del decennio che ha preceduto la pandemia”, si legge nel rapporto. “Ad eccezione dei fondi concessi dalla Banca mondiale e da altri organismi multilaterali, la realtà è che il denaro esce dalle economie povere, anziché entrarvi”, ha commentato Indermit Gill, capo economista presso la stessa World Bank.
A ciò si aggiunge il fatto che non poche nazioni, di fronte all’esplosione dei costi legati al debito estero, si sono viste costrette a contrarre nuovi prestiti proprio per far fronte alle rate da pagare. in particolare, si sono rivolte agli istituti multilaterali (come appunto la Banca mondiale). Ma ciò non ha fatto altro che innescare un circolo vizioso, che sta pesando fortemente non soltanto sulla capacità di questi paesi di affrontare la crisi climatica, ma anche di garantire servizi essenziali ai propri cittadini.
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