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Un’azienda italiana si è trasformata in un’eccellenza nell’innovazione sostenibile, basata sui principi dell’economia circolare.
Il modello economico che per troppi anni ha primeggiato nel mondo è spesso bulimico. Consumiamo in modo esagerato le risorse, le gestiamo male e generiamo troppi scarti. In questo modo stiamo via via esaurendo ciò che la Terra ci può dare; per farlo stiamo alimentando la crisi climatica, la perdita di biodiversità e la distruzione di ecosistemi; ci ritroviamo sommersi di rifiuti, senza neppure, in molti casi, esserci dotati di politiche e sistemi per gestirli in modo ragionevole, con un sufficiente grado di innovazione.
Eppure, delle alternative sostenibili esistono. A partire dai principi dell’economia circolare, soprattutto in alcuni settori nei quali è possibile operare al fine di riutilizzare e riciclare materiali, minimizzando gli scarti e, di conseguenza, l’impatto ambientale. Innovando, azienda italiana con sede a Vicenza, da anni è impegnata nello sviluppare soluzioni di filiera per la gestione circolare dei rifiuti industriali pre e post consumer, grazie a una rete di partner nazionali ed internazionali e una piattaforma digitale integrata. E benché tale approccio non possa essere esteso a tutti i comparti economici, il co-fondatore Francesco Di Pierro spiega che, laddove applicabile, i risultati possono essere sorprendenti.
Qual è la storia di Innovando che lei ha fondato insieme a Carlo Alberto Maggiolo e in quali settori è attiva?
Abbiamo mosso i primi passi nel 2013 come giovane realtà nata nel settore dei servizi per la compliance nella gestione degli pneumatici fuori uso. Nel tempo il nostro approccio, innovativo, industriale alla compliance si è imposto nel mercato, dove siamo riconosciuti tra i principali operatori. Ai servizi per i sistemi individuali e collettivi per gli adempimenti alla Responsabilità estesa del produttore (Epr), si sono man mano aggiunte altre tre unità di business. Il waste management, soluzioni avanzate per la raccolta, il trattamento e il recupero dei rifiuti industriali. Ci si occupa di reverse logistics per i prodotti post consumer (quelli che possono averne una seconda o che possono essere riciclati, grazie a una selezione particolarmente attenta).
Infine, i carburanti alternativi, settore nel quale operiamo come un ufficio di procurement in outsourcing per multinazionali nel settore del cemento, dell’acciaio e del waste to energy, a cui forniamo carburanti alternativi che sostituiscano i combustibili fossili, sia per la produzione di energia che di calore. I risultati confermano la nostra visione e la capacità organizzativa: toccheremo i 70 milioni di euro di fatturato nel 2026 e contiamo di superare i 100 milioni nel 2028. Siamo orgogliosi che Innovando sia stata inserita dal Financial Times nella lista tra le 500 aziende a maggior tasso di crescita in Europa.
Innovazione è anche applicare le tecnologie disponibili per risolvere problemi di lunga data. È il caso della tracciabilità dei rifiuti e dei nuovi modelli per la gestione e il recupero dei prodotti usati. In che modo lavorate su questo?
Le tecnologie hanno un significato ampio. Oggi in molti casi sono legate al digitale: con esse è possibile costruire infrastrutture di filiera che garantiscono la tracciabilità. Un elemento grazie al quale è possibile ottimizzare sia i processi operativi, quindi renderli più efficienti, sia garantire più trasparenza e accountability, a vantaggio della compliance e dell’innovazione dei modelli di business. Possiamo affermare di essere stati dei pionieri in campo digitale nell’ambito delle nostre filiere.
Altro discorso vale invece per il settore del riciclo: in questo caso parliamo di tecnologie per il pretrattamento e per la selezione, nonché per il riciclo vero e proprio (chimico o meccanico). Nel caso della gomma abbiamo deciso di innovare in prima persona, con la nostra partecipata Rubber Conversion fondata nel 2017, che si occupa di de-vulcanizzazione tramite un processo a bassa temperatura, brevettato a livello mondiale. Si tratta di un processo che consente di recuperare la gomma da prodotti a fine vita o da scarti di produzione: si interviene sui fattori chimici della gomma e la si rende nuovamente “attiva”. In questo modo può essere nuovamente vulcanizzata. Concretamente, questo processo consente un notevole risparmio di CO2 e consente di ridurre sensibilmente l’impiego di materie prime vergini sostituite da materiale riciclato.
Nel caso di altri settori, abbiamo creato innovazione con progetti di filiera, avvalendoci di una serie di partner. È il caso del progetto finanziato dall’Unione europea Life Impacto per il recupero dell’Eps (polistirolo), del progetto Life Re-Shoes per il riciclo delle calzature tramite il riuso della pelle (e non solo della gomma) e del progetto Life Winter per il riciclo e riuso di attrezzature per gli sport invernali.
A che punto è l’Italia sulla gestione dei rifiuti industriali rispetto al resto d’Europa?
Per le filiere che conosciamo noi, siamo messi bene per la gestione rifiuti industriali. Abbiamo delle normative ambientali tra le più restrittive a livello europeo. Ci sono criticità, ma gli standard nei quali operano i gestori sono i migliori in Europa. Per quanto riguarda i tassi di recupero, allo stesso modo, siamo tra i più alti. Per gli pneumatici la quota in Italia è del 95 per cento: significa che siamo quasi alla totalità. Il fatto che non sia davvero il 100 per cento è legato alla perdita di peso derivante dall’usura del battistrada. Il nostro auspicio costante è che i produttori di pneumatici siano sempre più concentrati alla filiera in ottica di opportunità di business sul prodotto e sulla riduzione della materia prima vergine. Poi per quanto concerne gli altri comparti, come quello della gestione dei rifiuti urbani, è chiaro che la situazione è più complessa, soprattutto in alcune zone del Paese.
Che tipo di realtà si rivolgono a voi? Si tratta soprattutto di aziende private o anche pubbliche?
Il tipo di interlocutore varia a seconda del servizio. Lavoriamo con aziende private, ma anche con diverse multinazionali e multiutility. Recentemente abbiamo avviato anche un’attività di capacity building con le istituzioni di alcuni stati in Europa e in estremo oriente per supportare lo sviluppo e l’introduzione di sistemi di gestione basati sulla responsabilità estesa del produttore per alcune filiere di prodotti a fine vita.
Siete impegnati ad esempio nel sostenere l’attuazione del Global Compact delle Nazioni Unite. Sicuramente negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza sui temi della sostenibilità, ma c’è ancora molta strada da fare, soprattutto tra le grandi imprese.
Rispetto a qualche anno fa la consapevolezza è più elevata. Le aziende cominciano ad avere una maggiore sensibilità, anche nel capire cosa voglia dire concretamente diminuire le emissioni. Quello che ancora manca è una piena integrazione di questa consapevolezza in piani attuativi a medio-lungo termine. Purtroppo, il consumatore finale, un po’ in tutti i settori in cui lavoriamo, non sembra pronto a questa maggiore sostenibilità, per cui le aziende ancora non mostrano di voler investire in modo significativo. È una dinamica un po’ trasversale, anche all’estero.
Di recente sembra quasi che si stia tornando in troppi casi indietro, sia per le aziende che per le politiche pubbliche. Una realtà come Innovando come valuta questa dinamica, qualcosa di passeggero o di davvero preoccupante?
Quello che succede a livello internazionale, in primis negli Stati Uniti, apre effettivamente dei dubbi. Se gli Usa fanno marcia indietro su una serie di politiche di sostenibilità, ciò avrà ripercussioni sul mercato, è inevitabile. Purtroppo, l’Europa non si è dotata di una politica capace di integrare l’innovazione sostenibile nelle politiche industriali. Per cui ora c’è una serie di industrie, e dello stesso mondo politico, che la osserva in modo scettico. Quello che è stato fatto nell’automotive lo dimostra chiaramente: non si è tenuto conto del patrimonio economico e culturale dell’Europa e si è lavorato in modo un po’ superficiale.
Tra le varie attività, lavorate per la responsabilità estesa del produttore. Di cosa si tratta?
Da anni è il modello di riferimento in Europa per la gestione della fine vita di molte tipologie di prodotti, applicato a settori come oli esausti e Raee. Ora si estende anche al tessile e si pensa di adottarlo anche per le imbarcazioni da diporto.
Il modello della Responsabilità estesa del produttore risolve il problema della “non gestione” e dell’abbandono, ma non garantisce automaticamente lo sviluppo di un approccio circolare al riciclo. Perché ciò avvenga ci vuole una forte partecipazione del produttore al ciclo di innovazione (dall’eco design al riciclo e riuso) e un vero allineamento industriale della filiera della raccolta e del trattamento. Il modello innovativo di Innovando per la gestione della responsabilità estesa del produttore è fondato proprio su questo principio: una piattaforma di servizi per supportare i produttori nella costruzione di una supply chain di materiali sostenibili a livello Europeo, nel pieno rispetto della compliance.
Facciamo un esempio concreto: quanto è difficile, da un punto di vista industriale, trasformare in senso sostenibile settori come quelli degli pneumatici e del tessile? È davvero qualcosa di molto complicato o è soprattutto un fatto di volontà?
Occorre tracciare in modo preciso e trasparente i flussi, investire nello sviluppo di sistemi di selezione, pretrattamento e tecnologie di riciclo, favorire lo sviluppo di operatori di riciclo di sufficienti dimensioni da poter garantire gli standard di qualità e i volumi necessari ad approvvigionare in modo stabile e scalabile i processi a valle. Dobbiamo agire con decisione sul piano nazionale, ma con una visione europea. È fondamentale promuovere e anticipare l’attuazione delle normative a livello italiano, per favorire un’armonizzazione comune in ambito europeo. Questo obiettivo deve essere accompagnato da procedure semplificate e da incentivi concreti per l’utilizzo di materie prime seconde provenienti dal riciclo.
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