Il Kirghizistan nel caos dopo la denuncia di brogli elettorali

La denuncia di brogli ha portato migliaia di persone in piazza in Kirghizistan, con scontri, un morto e oltre 600 feriti. Le elezioni saranno ripetute.

Il Kirghizistan sta vivendo giorni di caos. Il 4 ottobre si sono tenute le elezioni parlamentari, che hanno visto la vittoria dei partiti filorussi Birimdik e Mekenim Kirghizistan, vicini al presidente Sooronbai Jeenbekov. Le opposizioni hanno però denunciato brogli e migliaia di persone sono scese in piazza per protestare, con scontri, un morto e oltre seicento feriti. Nelle scorse ore la Commissione elettorale ha invalidato i risultati del voto, accogliendo di fatto le istanze dell’opposizione. Presto, dunque, si terranno nuove elezioni.

Un voto sospetto

Alle votazioni parlamentari del 4 ottobre in Kirghizistan, paese di oltre 6 milioni di abitanti – geopoliticamente allineato alla Russia ma confinante con la Cina – concorrevano sedici liste per accaparrarsi 120 seggi. A superare l’alta soglia di sbarramento, posta al 7 per cento, sono stati solo quattro partiti, di cui tre filorussi vicini al presidente Sooronbai Jeenbekov. Le opposizioni sono di fatto rimaste fuori dal Parlamento, a parte una manciata di seggi. Un risultato molto differente da quelle che erano le aspettative pre-elettorali, anche alla luce dei sondaggi che erano stati diffusi. Da qui si è levata l’accusa di brogli elettorali, sotto forma di compravendita di voti e di pressioni sulla popolazione affinché votasse per i partiti filo-presidenziali.

Il presidente del Kirghizistan Sooronbay Jeenbekov
Il presidente del Kirghizistan Sooronbay Jeenbekov © Adam Berry/Getty Images

Nella capitale Bishkek sono scese in piazza oltre seimila persone, incitate da alcuni leader delle opposizioni. I manifestanti hanno chiesto la ripetizione del voto, firmando anche una petizione rivolta alla Commissione elettorale. Alcuni hanno abbattuto i cancelli dei palazzi istituzionali, occupando in particolare il Parlamento, ma anche il palazzo del governo, il municipio e l’ufficio del procuratore generale. Oltre a questo, l’assalto ha riguardato anche alcune prigioni dove erano detenuti l’ex presidente Almazbek Atambayev, condannato per corruzione a 11 anni in quella che alcuni oppositori definiscono una sentenza politica, e alcuni ex alti funzionari, che sono stati liberati.

La situazione è insomma degenerata e l’intervento della polizia nei confronti dei manifestanti più riottosi si è poi esteso anche a chi si trovava in piazza in modo pacifico, disperso con proiettili di gomma, cannoni d’acqua, lacrimogeni e granate assordanti. Il bilancio attuale parla di un morto e oltre seicento feriti.

La vittoria dei manifestanti

Dopo due giorni di tensioni e proteste, la Commissione elettorale ha deciso dunque di invalidare il risultato delle elezioni. Davanti alla criticità della situazione, era stato lo stesso presidente Jeenbekov a chiederle di prendere in considerazione questa eventualità, forse anche alla luce del fatto che gli osservatori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), in un rapporto, avevano giudicato “credibili” le accuse di brogli elettorali.

 

La tensione in Kirghizistan non è comunque rientrata e il paese si trova ora in una sorta di campo minato, pronto a riesplodere da un momento all’altro. La politica è sprofondata nel caos, con il premier Kubatbek Boronov che si è dimesso ed è stato sostituto da Sadyr Japarov, uno dei politici liberati dal carcere dai manifestanti. Ma questo passaggio di consegne non è stato ben accolto da tutti a livello istituzionale e al momento il contesto attuale appare caratterizzato, più che da un ritorno all’ordine, da un tutti contro tutti.

Secondo gli analisti, le problematiche in ogni caso vengono da lontano, in un paese nel quale la spaccatura tra il sud e il nord è forte, anche in termini di rappresentanza politica. Il presidente Jeenbekov è accusato di aver estromesso il nord dalle istituzioni, con il Parlamento che è di fatto quasi completamente controllato dal sud. Ciò ha fatto crescere il malcontento verso il presidente, e più in generale verso le istituzioni, da parte di una fetta importante di popolazione, in una nazione nella quale circa un terzo delle persone vive in stato di povertà. Problemi interni dunque, ma che inevitabilmente si faranno sentire anche all’estero. Dopo la Bielorussia e il Nagorno-Karabakh, per la Russia si è aperto un così nuovo dossier critico in un paese sotto la sua sfera di influenza.

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