Legambiente

Dopo il referendum non ci sono dubbi, il cambiamento passa dalle rinnovabili

È stata una sfida difficile, ma ci abbiamo creduto fino all’ultimo pur sapendo che non sarebbe stato semplice raggiungere il quorum, dati i tempi “proibitivi” imposti a questa campagna referendaria. Domenica, fino allo scoccare delle ore 23:00, abbiamo sperato nella volata, in quello scatto a sorpresa degli italiani, a dispetto di tutto e di tutti,

È stata una sfida difficile, ma ci abbiamo creduto fino all’ultimo pur sapendo che non sarebbe stato semplice raggiungere il quorum, dati i tempi “proibitivi” imposti a questa campagna referendaria. Domenica, fino allo scoccare delle ore 23:00, abbiamo sperato nella volata, in quello scatto a sorpresa degli italiani, a dispetto di tutto e di tutti, ma il referendum sulle trivellazioni non ha raggiunto il quorum. Alle urne è stata registrata un’affluenza del 31,18 per cento, un dato non basso, ma neanche determinante. Non c’è stato quello sprint finale indispensabile per ottenere, questa volta, il 50 per cento più uno dei votanti necessario per la vittoria del sì.

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Il referendum come premessa per il cambiamento

Il risultato di ieri (31,18 per cento) non è una sconfitta, ma una importante premessa: l’ambiente è ormai diventato una questione sempre più centrale per i cittadini e trasversale agli schieramenti politici. E questo referendum, nel bene e nel male, ha permesso di dar avvio ad un dibattito pubblico serio e approfondito sulla questione energetica e lo sviluppo sostenibile. Perché in Italia è già in atto un cambiamento sostenibile e virtuoso, lento ma inesorabile, difficile da non vedere. Un cambiamento che guarda al futuro e non al passato, che punta alle fonti rinnovabili, all’efficienza energetica, all’economia circolare. Questo i cittadini lo sanno. Nonostante l’iter travagliato di questa campagna referendaria, le difficoltà ai seggi, la disinformazione, gli inviti all’astensione da parte del governo guidato da Matteo Renzi, in queste settimane c’è stata una straordinaria mobilitazione popolare che, nelle poche settimane di campagna referendaria, ha veramente unito tutta Italia con iniziative sul territorio, per lanciare al primo ministro Renzi un messaggio chiaro e forte dopo la Cop 21 di Parigi: per contrastare i cambiamenti climatici, c’è bisogno di una politica energetica sostenibile e democratica che abbandoni le fonti fossili.

 

La transizione energetica è già in atto

Di certo non sarà il mancato raggiungimento del quorum a fermare un cambiamento del modello energetico che sta già mettendo le fonti fossili ai margini, perché esiste un altro scenario più conveniente, pulito, democratico. Domenica sera, il presidente del Consiglio, nella sua conferenza stampa post referendum ha parlato di “coesione e unione”, di un Paese che chiede concretezza e solidità, ha ribadito che l’Italia è leader nel settore delle rinnovabili, che ha autentiche eccellenze; eppure il suo è stato un discorso stonato. Fino ad oggi sono stati fatti regali su regali ai petrolieri: concessioni senza limiti di tempo per le piattaforme (introdotte nella legge di stabilità del 2016) e nessun controllo sullo smantellamento, royalties irrisorie e deducibili dalle tasse, costi minimi per le aree in concessione e 246 milioni di euro in investimenti e finanziamenti da enti pubblici. La proroga senza limiti delle concessioni per l’estrazione di petrolio e gas rimane una colossale ingiustizia, in contrasto con le regole del diritto europeo sulla libera concorrenza. Per questo, nei prossimi giorni presenteremo una denuncia alla Commissione europea contro la norma che concede concessioni illimitate per le estrazioni di petrolio e gas. Tra le altre note stonate, c’è da dire che in questi anni si è sempre preferita una politica in favore dei combustibili fossili piuttosto che una per le energie rinnovabili, andando ad affossare più volte l’energia pulita con un decreto spalma incentivi che ha ridotto drasticamente la possibilità di investimento nelle fonti rinnovabili.

Arrivare al 50% di rinnovabili è possibile

Al governo Renzi lanciamo, perciò, un appello chiedendo di raccogliere quella richiesta di “concretezza e solidità” che arriva dal Paese, definendo una politica energetica ambiziosa e sostenibile che abbandoni le fonti fossili e incentivi le rinnovabili, tracciando una road map per arrivare al 50 per cento di produzione elettrica da rinnovabili (un obiettivo caro al Premier), dando forma al Green act annunciato due anni fa dall’esecutivo e di cui oggi non si sa nulla. Se è ora che “l’Italia torni a fare l’Italia”, Renzi mantenga le sue premesse e dimostri un deciso cambio di rotta in fede agli impegni presi alla Cop 21 di Parigi. Ciò sarebbe davvero un buon inizio anche in vista del prossimo 22 aprile, giorno in cui a New York, nella sede delle Nazioni Unite, ci sarà la firma dell’accordo globale sul clima adottato lo scorso dicembre nella capitale francese. Un accordo attraverso il quale è stato chiesto ai rappresentati dei diversi paesi un impegno concreto per ridurre le emissioni, accelerare la transizione energetica, verso un futuro libero dalle fossili.

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