![Cancellare il debito per tutelare il pianeta: come funzionano i debt for nature swap](https://cdn.lifegate.it/P1WVcE8r8LYmv1FnAKd21oiEUFA=/470x315/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2024/07/seychelles.jpg, https://cdn.lifegate.it/zfYxei2rpCG_TRiteRHLXEmOiJ4=/940x630/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2024/07/seychelles.jpg 2x)
Condonando parte del loro debito estero, i debt for nature swap sbloccano risorse che i paesi emergenti reinvestono nella tutela del territorio.
Un fusione ritenuta dagli analisti “storica per l’economia americana”. Tre le suddivisioni: pesticidi, sementi e chimica.
Una fusione dal valore di 120 miliardi di dollari. Dovrebbe essere ufficializzata in queste ore la storica fusione tra Dupont e Dow Chemical, due delle maggiori aziende che operano nel settore della chimica e delle sementi al mondo. Il risultato darebbe vita ad uno dei più grandi colossi a livello globale, subito dietro a Basf e superando Monsanto e Syngenta.
Secondo Bloomberg “La scissione a seguito della fusione di Dow-DuPont probabilmente comporterà la creazione di una società focalizzata sui prodotti agricoli, come le sementi e i pesticidi, un’altra concentrata sui prodotti chimici speciali e una terza su plastica e altre materie prime”.
Dow Chemical è conosciuta nel mondo per le attività concentrate sulla chimica di sintesi. Additata da ambientalisti e pacifisti, era responsabile della produzione del napalm e dell’Agent Orange durante la guerra nel Vietnam, mentre è lagata al disastro di Bhopal nel 1984, quando un incendio in una fabbrica di pesticidi causò la morte di migliaia di persone ed effetti sull’ambiente presenti ancora oggi. Secondo un recente articolo di Repubblica.it, il gruppo ha cambiato rotta, almeno in parte: “Tutto è cominciato a cavallo del millennio, quando la Dow Chemical ha cominciato ad abbandonare le produzioni più pericolose, soprattutto quelle della chimica di base, per concentrarsi su attività più sofisticate con maggiori margini di guadagno e minore impatto ambientale”.
Più recentemente Dupont è stata al centro delle polemiche relative alla commercializzazione in Europa del mais geneticamente modificato “Pioneer 1507”, resistente alla piralide e già venduto negli Stati Uniti e in altri 11 Paesi. L’entrata nel mercato europeo è stata oggetto di dispute fino allo scorso anno quando, come riporta RivistaEuropae “il Parlamento europeo si è pronunciato contro la coltivazione del mais transgenico sul territorio dell’Unione, con una risoluzione approvata con 385 voti favorevoli, 201 contrari e 30 astensioni. La decisione finale è però spettata ai ministri dei 28 che l’11 febbraio scorso, in sede di Consiglio, hanno ‘contraddetto’ il Pe. 19 i ‘No’, 4 gli astenuti e solo 5 i favorevoli: Estonia, Finlandia, Spagna, Svezia e Gran Bretagna. La maggioranza qualificata, necessaria affinché l’autorizzazione alla coltivazione venisse definitivamente respinta, non è stata però raggiunta”. Nonostante ciò 19 Paesi, Italia compresa, hanno scelto di non coltivare specie geneticamente modificate sul proprio territorio.
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