Se si parla tanto di finanzaclimatica è perché riconvertire il nostro sistema economico ed energetico ha un costo. Così come ha un costo proteggere la natura. È vero che, guardando in prospettiva, i servizi ecosistemici che la natura ci offre hanno un valore inestimabile e che, dunque, qualsiasi iniziativa volta a salvaguardarli è destinata a portare i suoi frutti nel tempo. Ma è anche vero che, sul momento, qualcuno deve reperire dei fondi da investire. E quel qualcuno spesso è il governo di uno stato già scricchiolante in termini finanziari. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) dice che, delle 59 economie in via di sviluppo più vulnerabili ai cambiamenti climatici, 34 scontano anche un alto rischio di andare incontro a crisi fiscali. Come permettere loro di proteggere le risorse naturali che possiedono, a beneficio dell’intero pianeta? C’è una possibile soluzione che negli ultimi anni è stata sperimentata in vari contesti: si chiama debt for nature swap.
Barbados, Belize, and Seychelles are swapping expensive debt for climate and environmental resilience. Countries should scale up these innovative instruments. https://t.co/0X91EMr5I9pic.twitter.com/wAVvqr8Wqe
Un debt for nature swap è un accordo di tipo finanziario tra due parti, tipicamente un paese in via di sviluppo e un suo creditore (che può essere un altro stato, oppure una banca o un’organizzazione internazionale che possiede parte del suo debito estero). In sostanza, il creditore decide di ridurre o annullare una parte del debito a patto che i fondi, così liberati, siano reinvestiti per specifici progetti di tutela della natura. Di norma entra in gioco anche una organizzazione non governativa indipendente che ha le competenze per gestire i fondi, attuare i progetti e valutare i loro risultati. Questa forma di collaborazione si impernia su un principio: foreste, oceani o altri ecosistemi potranno anche sorgere entro i confini di uno stato, ma portano benefici a tutta l’umanità.
Era il 2009 quando gli Stati Uniti hanno deciso per la prima volta di condonare parzialmente il debito estero dell’Indonesia, a patto che il paese asiatico investisse risorse nella tutela della natura. La formula evidentemente ha funzionato, visto che a luglio 2024 i due stati hanno siglato il loro quarto debt for nature swap, cancellare 35 milioni di dollari di debito estero nei nove anni successivi.
A differenza degli accordi precedenti, che erano finalizzati a salvare le foreste tropicali dall’espansione delle piantagioni di palme da olio, in questo caso il focus sono le barriere coralline. Quelle indonesiane infatti occupano 5,1 milioni di ettari, il 18 per cento del totale mondiale, ma sono state profondamente danneggiate dai recenti episodi di sbiancamento. In particolare, il denaro risparmiato da Giacarta servirà per finanziare la conservazione di due aree –Bird’s Head e Lesser Sunda-Banda – per almeno quindici anni.
Ecuador
Secondo il ministro degli Esteri Gustavo Manrique Miranda, l’Ecuadornon ha nulla da invidiare ai paesi più ricchi, “ma la nostra valuta è la biodiversità”. Da qui la scelta di annunciare a maggio 2023 un imponente debt for nature swap che il New York Times descrive così: “un po’ come rifinanziare un mutuo, ma con i titoli di stato”. I titoli di stato ecuadoriani, infatti, hanno perso valore sul mercato a tal punto che alcuni investitori hanno preferito cederli alla banca Credit Suisse per una media di 40 centesimi ogni dollaro di valore nominale.
La banca, dunque, li ha convertiti nel Galápagos marine bond, dal valore di 656 milioni di dollari, con scadenza al 2041 e una cedola del 5,645 per cento. Un’obbligazione più sicura per gli acquirenti, perché garantita dalla Banca inter-americana per lo sviluppo e dall’agenzia governativa statunitense International development finance corporation. Il governo, così, si assicura due vantaggi. Da un lato, evita di dover rimborsare più di un miliardo di dollari di debito pubblico, con gli interessi. Si assicura inoltre le risorse per tutelare la riserva marina Hermandad alle isole Galápagos, istituita nel 2021 per contrastare la pesca illegale e proteggere le rotte migratorie di specie iconiche come lo squalo martello.
Seychelles
La natura rigogliosa è parte integrante dell’identità delle Seychelles, arcipelago di 115 isole nell’oceano Indiano, e fornisce le risorse alla base del sostentamento dei suoi circa 100mila abitanti. È dunque una grande notizia che, nel 2020, il governo locale abbia raggiunto l’obiettivo che si era prefissato dieci anni prima: trasformare in area marina protetta il 30 per cento della propria zona economica esclusiva. Ciò significa tutelare un’area marina di 410mila chilometri quadrati, più della superficie della Germania.
Questo risultato è figlio di un accordo di conversione del debito pubblico siglato tra l’amministrazione delle Seychelles e The nature conservancy. L’organizzazione senza scopo di lucro americana ha rilevato 21,6 milioni di dollari di debito estero, a patto che il governo mettesse a punto e finanziasse una strategia di tutela della natura (che includeva, tra gli altri obiettivi, proprio la tutela del 30 per cento dei suoi mari). Un trust indipendente distribuisce le risorse e vigila sull’attuazione del piano.
Belize
Dopo quella australiana, la più grande barriera corallina del mondo è in Belize. Lunga circa 300 chilometri, è l’habitat di circa 1.400 specie animali e vegetali, tra cui la tartaruga embricata, il lamantino, sei specie di squali. Ma il Belize è anche uno stato molto piccolo: la sua superficie è paragonabile a quella della Toscana, la popolazione a quella del comune di Bologna. L’agenzia Reuters lo definisce come “serial defaulter”, per le sue conclamate e ripetute difficoltà finanziarie.
Nel 2021, mentre era nuovamente in crisi per la pandemia, il paese ha annunciato un debt for nature swap. Con il supporto della International development finance corporation e della banca Credit Suisse, la ong The nature conservancy gli ha prestato le risorse necessarie per ricomprarsi 533 milioni di dollari di debito estero, negoziando uno sconto del 45 per cento. Da parte sua, il paese si è impegnato ad aumentare la percentuale di aree marine protette dal 15,9 al 30 per cento della sua zona economica esclusiva e a investire 4 milioni di dollari all’anno per proteggerle. L’accordo prevede anche di istituire un trust da 23 milioni di dollari dedicato proprio alla protezione della barriera corallina.
Pictured: The Belize Reef System, hosting coral, mangroves, seagrass and 77 endangered species.
With the Americas’ first-ever debt conversion for marine conservation, Belize is showing that countries can afford to protect the ocean AND human well-being. https://t.co/hbtdtc7rshpic.twitter.com/JrIBaAwSkJ
Il primo debt for nature swap del continente africano arriva dal Gabon, nazione che si estende lungo la costa atlantica dell’Africa centrale e vanta una biodiversità ricchissima. Sia a terra, visto che l’88 per cento del suo territorio è coperto da alberi, sia in mare, dove vivono specie in pericolo come la megattera atlantica, una delle più grandi colonie di tartarughe olivastre dell’Atlantico e circa il 30 per cento della popolazione mondiale di tartarughe liuto.
È stata sempre The nature conservancy ad annunciare l’emissione di un’obbligazione che rende possibile rifinanziare circa 500 milioni di dollari di debito pubblico del Gabon, alleggerendo così il peso del debito stesso e dei suoi interessi. Questo consente al paese di sbloccare 163 milioni di dollari di finanziamenti per la protezione dell’oceano, centrando l’obiettivo (voluto dal paese stesso) di tutelare il 30 per cento della terraferma, delle acque dolci e degli oceani entro il 2030.
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