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Ogni anno, fra settembre e ottobre Calcutta celebra il Durga puja, una delle festività induiste più sentite. Un reportage fatto di colori, profumi, luci e ombre.
Calcutta è soprannominata “la città della gioia” da molti indiani per la sua ricchezza storica, il suo fervore culturale e lo stile di vita dei suoi abitanti, amanti delle tradizioni e della convivialità. Ogni anno nel periodo tra settembre e ottobre, durante il mese Ashvin del calendario hindu, per dieci giorni la metropoli da più di 14 milioni di abitanti si trasforma nella massima manifestazione delle sue peculiarità. Si tratta del Durga puja, la festività induista più sentita nello stato indiano del Bengala occidentale.
Tradizionalmente viene celebrato il ritorno nel mondo terreno di Durga, dea combattente contro le forze del male e incarnazione della creatività femminile, la quale va a trovare il padre nella sua dimora sull’Himalaya. L’adorazione, il puja, della dea da parte di sacerdoti e cittadini avviene attraverso una serie di rituali che si svolgono per lo più all’interno di elaborate strutture provvisorie decorate, i pandal, che ospitano grandi quadri scultorei dipinti, adorni di fiori e gioielli luccicanti, raffiguranti la dea dalle dieci braccia con i suoi figli.
Quest’anno a Calcutta sono stati allestiti oltre tremila pandal sparsi nelle piazze, nei vicoli dei quartieri popolari e dentro ai templi. Ma sono numerosi anche quelli che vengono preparati dalle famiglie più antiche e benestanti all’interno delle loro sontuose case nel nord della città. In questi dieci giorni le famiglie si riuniscono e tutte le principali attività economiche di Calcutta si fermano, lasciando spazio a canti e danze rituali accompagnati dai suoni dei tamburi dhaak, mentre la fragranza dell’incenso dhuno impregna le strade mescolandosi agli aromi di spezie della cucina bengalese.
Oltre ad essere espressione di una profonda devozione religiosa, il Durga puja col tempo è diventato un evento artistico e commerciale di massa. I riti nelle case delle antiche famiglie aristocratiche sono presi d’assalto da reporter e curiosi. I pandal e le sculture (o murti) più grandi e costosi, poi, sono ormai delle stupende e complesse opere architettoniche con effetti ottici e luminosi, progettate e firmate da celebri artisti indiani, la cui preparazione inizia dai sei mesi fino a un anno prima dell’evento.
Come da tradizione, poi, in occasione delle celebrazioni i bengalesi comprano abiti nuovi e doni per partecipare ai vari riti e visitare i pandal più belli. Conseguentemente allo sviluppo economico del paese, non ci è voluto molto prima che brand e sponsor commerciali sfruttassero l’occasione. Così la città si riempie di cartelloni pubblicitari, mentre nei grandi mercati e nei centri commerciali scattano i saldi ed esplode la corsa all’acquisto di ogni genere di consumo.
Da qualche anno sono sorti anche alcuni problemi ambientali legati alla festività. La città, già sovrappopolata e con servizi di smaltimento dei rifiuti precari, in questo periodo deve sopportare un picco di inquinamento al quale col tempo bisognerà trovare rimedio. In alcuni casi sono i rituali stessi ad esser diventati inquinanti. Nell’ultimo giorno del Durga puja, ad esempio, gli idoli sono portati in processione fino al Gange e lasciati immergere nelle sue acque. Un tempo le statue erano fatte di materiali biodegradabili come paglia, argilla, resina e legno. Oggi però sono stati sostituiti da quelli sintetici meno costosi e più colorati e così i resti delle statue finiscono col peggiorare l’inquinamento del fiume.
Nonostante questi cambiamenti, il Durga puja resta una celebrazione affascinante e unica anche perché sempre più aperta e inclusiva. Non a caso quest’anno per la prima volta è stato organizzato un pandal dalle prostitute del quartiere a luci rosse di Sonagachi e anche la numerosa comunità transgender cittadina ha preparato alcuni eventi inediti. Il Durga puja appartiene a tutti gli abitanti di Calcutta. Nessuno escluso.
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