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L’ecofascismo è un fenomeno recente ma che affonda le proprie radici nella storia più nazionalista. Ne parla la giornalista Francesca Santolini nel suo ultimo libro.
Dopo anni di negazionismo, l’estrema destra ha mutato strategia: ora riconosce l’esistenza dei cambiamenti climatici ma ne attribuisce la colpa ai migranti, ai popoli del sud del mondo, alla modernità. Sono gli “ecofascisti” e la giornalista Francesca Santolini ha dedicato a questo tema un saggio dal titolo “Ecofascisti – Estrema destra e ambiente” pubblicato da Einaudi. In Europa, come negli Stati Uniti, gli “ecofascisti” si stanno appropriando dei fondamentali dell’ecologia per giustificare i loro discorsi d’odio, in una sorta di nazionalismo verde. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
Santolini, chi sono gli ecofascisti?
Prima di rispondere a questa domanda, faccio una piccola premessa: l’ecofascismo non è un’emergenza politica o un fenomeno di massa. È ancora un fenomeno marginale, una sfumatura della più ampia galassia dell’estrema destra, però esiste e lo possiamo considerare un laboratorio nel quale il pensiero ecologista più reazionario si sta aggiornando rispetto ai temi ambientali. In particolare in relazione ai cambiamenti climatici, ma strumentalizzandoli: i reazionari sono passati dal negazionismo alla manipolazione del discorso intorno al clima. Che è poi quello che fanno i populisti su tutti i temi e quindi l’ambiente non è altro che un prisma che ci consente di vedere come funziona il populismo oggi. La ricetta, anche qui, è sempre la stessa, ovvero la creazione di un nemico, di un capro espiatorio. Da questo punto di vista, non c’è niente di nuovo sul fronte della propaganda populista.
E chi è il nemico individuato dall’ecofascista oggi?
È interessante l’origine culturale di questo pensiero, che è ancora più assurdo del negazionismo. Perché il nazionalismo verde, o ecofascismo nei casi più estremi, oltre a non avere nessuna base scientifica si presenta come un’incredibile torsione di pensiero: si arriva in sostanza a riconoscere il tema del clima ma si trasforma la lotta per l’ambiente in una difesa dei confini e dell’identità di un popolo. In questo frangente, i nemici individuati dagli ecofascisti sono i migranti climatici, che vengono considerati degli “sradicati” che non sono in grado di proteggere la propria casa, emigrano e finiscono per saccheggiare le nostre risorse e minacciare l’identità culturale del territorio custodito dai “nativi”, che saremmo appunto noi occidentali.
Un ribaltamento della realtà, insomma…
È un fenomeno definito da due ricercatori inglesi come “eco-bordering”, cioè la difesa del proprio territorio dietro l’alibi dell’ecologia. Ed è proprio da questo studio che è nato il mio libro: i ricercatori hanno analizzato la propaganda di 22 partiti nazionalisti per identificare tale tendenza. L’eco-bordering è ben sintetizzato nelle parole di Marine Le Pen, leader del Rassemblement national francese, che dice: “L’ambientalismo è il figlio naturale del patriottismo, che è il figlio naturale del radicamento. La migliore salvaguardia dell’ambiente è la difesa dei confini”. Un altro esempio impressionante è quello del partito nazionalista svizzero che, con dati improbabili nei suoi materiali propagandistici, calcola le emissioni prodotte dagli spostamenti dei migranti climatici. Tutto ciò rappresenta una posizione ancora più subdola rispetto al negazionismo climatico, perché quest’ultimo può crollare di fronte alle evidenze scientifiche. L’ecofascismo, invece, confonde le cause con gli effetti, capovolge la realtà, ottenendo due risultati: da una parte viene politicizzato il presunto impatto climatico dei migranti e dall’altra si depoliticizza il nostro stile di vita, che è la vera causa del riscaldamento globale.
Quando è iniziato questo fenomeno?
L’ecofascismo di cui stiamo parlando ora è una tendenza relativamente recente che nasce negli Stati Uniti come derivazione dell’alt-right e che da qualche anno influenza anche i partiti nazionalisti europei. Però, a ben vedere, l’argomento ha radici storiche più profonde. La lezione tedesca del nazismo è un esempio significativo: il culto dell’ambiente, l’alimentazione biologica e il vegetarianesimo erano componenti essenziali della cultura nazista. Può sembrare assurdo ma è così: Hitler era vegetariano, Himmler animalista, Goering aveva creato delle fattorie biologiche dove produceva erbe medicinali per le Ss. Erano tutti pezzi importanti dell’armamentario ideologico nazista, perché in un certo senso hanno giustificato lo sterminio degli ebrei, considerati la specie infestante di allora. La lezione tedesca, quindi, è importante perché dimostra che anche la più nobile delle cause, come appunto è l’ambiente, può essere strumentalizzata a favore della barbarie criminale.
In Italia ci sono gli ecofascisti?
Dalla prospettiva italiana sembra quasi impossibile che la destra possa essere così ambientalista da diventare ecofascista, perché qui c’è ancora una posizione della destra italiana, radicale o meno, molto “letterale”. Nel senso che qui da noi i politici di estrema destra insinuano ancora dei dubbi sull’origine antropica dei cambiamenti climatici, nonostante sia una questione chiusa dal punto di vista scientifico. Per questo, in Italia, sembra ancora lontano quel momento in cui la destra riuscirà ad appropriarsi di questi temi. Invece, dove i cambiamenti climatici sono temi più dirimenti e l’interesse più trasversale, come per esempio in Francia, le destre sono state in grado di allinearsi su questi temi e occupare uno spazio politico aperto.
Tra poco ci saranno le elezioni europee: cosa prevedi che accada nei prossimi anni in relazione a questo tema dell’ecofascismo?
C’è chi ha scritto nelle varie recensioni che questo libro è un libro profetico. Io spero di no, nel senso che però è bene riconoscere le genealogie politiche, è bene riconoscere le continuità ideologiche, è bene capire questi fenomeni perché la realtà è molto più complessa di come viene raccontata. Negli ultimi anni i populisti sono riusciti a far passare l’idea che l’Europa ci vuole togliere la casa, l’auto, la carne e che la transizione ecologica sia roba da ricchi, cioè che sia una un’azione elitaria fatta nell’interesse di pochi contro l’interesse di molti, quando gli studi dimostrano che il cambiamento climatico colpisce i poveri a tutti i livelli, sia nel sud del mondo che a casa nostra. Quindi non diamo per scontata la libertà che abbiamo avuto finora e, soprattutto, andiamo a votare con cognizione di causa.
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