Il nuovo presidente conservatore dell’Ecuador, Daniel Noboa, potrebbe operare una clamorosa retromarcia sui giacimenti petroliferi nella riserva di Yasuní.
In un’intervista concessa a una televisione locale, il nuovo presidente Noboa ha evocato la possibilità di riprendere le trivellazioni nella riserva di Yasuní.
Lo stop (teoricamente definitivo) era arrivato dopo un referendum nell’estate del 2023.
Secondo il capo di stato, servono entrate per poter combattere criminalità e narcotraffico.
In caso di aggiramento del voto popolare, si aprirebbe anche un problema di democrazia in Ecuador.
La gioia per il risultato del referendum ha lasciato in breve spazio all’incertezza. Durante la scorsa estate, in Ecuador si è votato per imporre uno stop a tempo indeterminato alle trivellazioni alla ricerca di petrolio nella riserva di Yasuní, in piena foresta Amazzonica. Nonostante i “sì” avessero vinto con il 58,9 per cento dei voti, però, il nuovo presidente conservatore Daniel Noboa sembra essere sul punto di operare una clamorosa retromarcia.
“Siamo in guerra, servono soldi o perderemo l’Ecuador”
“Siamo in guerra, non siamo nella stessa situazione di prima”, ha spiegato il capo di Stato in un’intervista concessa ad una televisione locale il 21 gennaio scorso, facendo riferimento all’ondata di gravi scontri nelle piazze che ha colpito negli ultimi mesi la nazione sudamericana. “Siamo riusciti ad arrestare quella valanga di distruzione e violenza. Ora è necessario che questo processo venga accompagnato da un aumento delle entrate, fin quando tutto ciò non sarà passato. Se non combattiamo, e se non finanziamo questa battaglia, perderemo il paese”.
In altre parole, secondo Noboa, l’Ecuador non potrebbe permettersi di rinunciare agli introiti derivanti dallo sfruttamento delle risorse petrolifere. Altrimenti, non ci saranno i fondi necessari per combattere bande, criminalità e narcotraffico. Così, lo smantellamento delle infrastrutture, il cui inizio era previsto per il mese di agosto di quest’anno, potrebbe slittare. O forse, addirittura, non avvenire più.
L’ondata di violenza che ha colpito la nazione sudamericana
Impossibile negare che il commercio illegale di droga rappresenti un problema gigantesco per il paese latino-americano. Si tratta infatti del più grande esportatore mondiale di cocaina, che viene importata dai due più grandi produttori globali, entrambi confinanti: la Colombia e il Perù. È altrettanto innegabile che, nei soli ultimi sei anni, il numero di omicidi è aumentato di otto volte rispetto al passato passato.
Lo stesso Noboa è stato eletto al termine termine di una campagna elettorale caratterizzata dall’assassinio di uno dei candidati. Lui stesso, però, aveva promesso di ridurre la dipendenza dell’Ecuador dalle energie fossili. Decidere, inoltre, di andare in direzione diametralmente opposta a quanto scelto dagli elettori in occasione del referendum pone allo stesso modo un problema di tenuta delle istituzioni: “È qualcosa di molto pericoloso da molti punti di vista, poiché pone direttamente in pericolo la democrazia”, a spiegato la presidente della fondazione Pachamama, Belèn Paez.
I rischi per la democrazia (e per lo stesso Noboa)
Allo stesso modo, la coalizione di organizzazioni non governative dell’Amazzonia, Yasunidos, ha parlato di comportamento “inquietante, imprudente e antidemocratico. se la volontà popolare non sarà rispettata, chiederemo che la Corte costituzionale destituisca il presidente della Repubblica”. Il rischio, insomma, è che Noboa possa infilarsi in un tunnel politico dal quale difficilmente riuscirà ad uscire. Il tutto mentre anche la comunità internazionale potrebbe intervenire, non non fosse altro perché sia il problema della crisi climatica che quello del traffico internazionale di stupefacenti non riguardano, di certo, soltanto l’Ecuador.
Un gruppo di donne indigene hanno partecipato a un sit-in davanti al palazzo del presidente dell’Ecuador per chiedere la sospensione dello sfruttamento minerario e petrolifero della foresta amazzonica.