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La legge elettorale e la situazione politica attuali potrebbero garantire al centrodestra i due terzi dei seggi in Parlamento.
L’attuale situazione politica italiana e la legge elettorale in vigore potrebbero generare un risultato senza precedenti, in occasione delle elezioni previste per il prossimo 25 settembre. Chi vincerà potrebbe infatti avere a disposizione una maggioranza estremamente ampia. Che rischia addirittura di superare una soglia fatidica per la nostra Repubblica: quella dei due terzi.
Ma facciamo un passo indietro, al 3 novembre del 2017. Ovvero il giorno in cui fu approvata l’attuale legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum. Esso prevede che l’espressione dei voti venga effettuata tramite un sistema elettorale misto (in parte maggioritario, in parte proporzionale). Sia alla Camera che al Senato il 61 per cento dei membri verrà assegnato con il proporzionale: ciò significa che tale quota di scranni sarà ripartita in base alle percentuali di voti ottenute da ciascun partito. Si tratta di 244 seggi alla Camera e 122 al Senato. Le candidature sono in questo caso presentate in collegi plurinominali, ciascuno dei quali elegge un numero predeterminato di seggi nei due rami del parlamento.
Il restante 37 per cento (poiché il 2 per cento è riservato alla circoscrizione Estero) sarà invece scelto sulla base di un sistema maggioritario uninominale a turno unico. Esso prevede che in ciascun collegio si presentino i vari candidati e che a vincere sia, semplicemente, quello che ottiene più voti. Si tratta di un meccanismo criticato poiché premia i vincitori in egual misura (ovvero con la conquista di un seggio), a prescindere dal numero di voti raccolti.
La legge elettorale che porta il nome di Ettore Rosato, (attuale coordinatore nazionale del partito di Matteo Renzi, Italia Viva) punta soprattutto a garantire una maggioranza solida a chi vince. Il che significa che la percentuale di seggi attribuita alla coalizione che otterrà più voti potrebbe essere sensibilmente più alta rispetto alla percentuale di preferenze ottenute realmente a livello nazionale. In questo caso, i sondaggi pre-elettorali e le analisi sulla ripartizione dei voti hanno indicato come – tenuto conto sia dei seggi attribuiti con il maggioritario che di quelli assegnati con il metodo proporzionale – il centrodestra formato da Forza Italia, Fratelli d’Italia e dalla Lega potrebbe ottenere tra il 61 e il 64 per cento degli scranni alla Camera e al Senato.
Ciò significa che la coalizione conservatrice sfiorerà la soglia citata dei due terzi. Un’autentica linea di demarcazione, sancita dall’articolo 138 della Costituzione italiana, che disciplina il metodo che occorre seguire per approvare le leggi di revisione della stessa Carta (così come le leggi costituzionali, che nella gerarchia delle fonti sono ad essa equiparate).
La norma precisa infatti che le riforme della Costituzione devono essere adottate “da da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. Affinché la revisione venga approvata, dunque, occorre almeno il 50 per cento più uno dei votanti nelle due Camere.
Lo stesso articolo 138 precisa quindi che tali leggi “sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. Si tratta di requisiti piuttosto semplici da raggiungere, in particolare il primo: basta una piccola minoranza di membri di una sola delle due Camere per imporre la consultazione referendaria.
La ragione di tale procedura risiede nel fatto che i padri costituenti ritennero le revisioni della Costituzione una materia talmente delicata da giustificare un ricorso piuttosto semplice al vaglio diretto degli elettori. A differenza dei referenda abrogativi, tuttavia, non è previsto un quorum strutturale: non è dunque necessario che si rechi alle urne una quota minima di aventi diritto al voto. È sufficiente che la maggior parte di chi l’ha fatto abbia votato a favore della riforma (ovvero si raggiunga il cosiddetto quorum funzionale).
Ma l’ultimo comma dell’articolo 138 precisa che “non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”. Il ricorso al vaglio degli elettori, dunque, non è necessario se la revisione, in sede parlamentare, ha già ottenuto una maggioranza schiacciante. Pari appunto ai due terzi. Qualora, dunque, la coalizione di centrodestra dovesse ottenere il 67 per cento dei seggi alla Camera e al Senato, potrebbe modificare la Costituzione in autonomia. Senza timore di dover difendere la riforma in sede referendaria.
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