
Una serie di operazioni anti-immigrazione hanno causato proteste a Los Angeles. Donald Trump ha risposto con l’invio dell’esercito, alzando la tensione.
In Somalia, un’elezione effettuata in un hangar dell’aeroporto ha incoronato l’ex primo ministro. Guiderà un paese dilaniato da violenze e corruzione.
Mohamed Abdullahi Farmajo è il nuovo presidente della Somalia. Deputati e senatori lo hanno scelto per guidare la nazione africana al termine di una battaglia elettorale contrassegnata da reciproche accuse di corruzione e di brogli. Il suffragio che ha incoronato l’ex primo ministro è stato indiretto, dal momento che nel paese, dilaniato dagli attacchi del gruppo islamista insurrezionalista al-Shabab, non è stato possibile organizzare una consultazione universale.
#Somalie double explosion de véhicules piégés aux abords d’un hôtel du centre de #Mogadiscio, plusieurs blessés https://t.co/wpJXy3LHW2 pic.twitter.com/IwvG8uFAR6
— RT France (@RTenfrancais) 25 gennaio 2017
Per lo meno, i rappresentanti del popolo stavolta sono stati eletti da un collegio di quattordicimila cittadini: un passo in avanti rispetto alla tornata del 2012, quando in Aula sedevano personalità scelte da 135 capi di tribù e clan somali. “Si tratta di una vittoria per la Somalia e per i somali”, ha dichiarato il neo-presidente non appena eletto.
A Farmajo sono andati 184 voti, su un totale di 329, il che sulla carta non sarebbe bastato per formalizzare l’elezione alla carica di presidente. Una nuova votazione avrebbe dovuto essere dunque organizzata, ma il candidato arrivato secondo, l’attuale presidente Hassan Sheik Mohamud, ha riconosciuto la sconfitta, concludendo così la procedura di voto.
Quest’ultima si è svolta in un contesto di grande paura per un possibile attentato contro deputati e senatori: un timore così grande da convincere i parlamentari a non riunirsi nella sede abituale dell’assemblea legislativa, a Mogadiscio. L’elezione presidenziale è avvenuta così in un hangar all’interno dell’aeroporto della capitale: l’unico luogo considerato sicuro della città. Al contempo, le autorità hanno imposto una serie di misure eccezionali di sicurezza, a cominciare dal blocco totale dei trasporti pubblici e della circolazione in tutta la metropoli.
In Somalia, d’altra parte, la situazione è ancora decisamente caotica. La guerra civile non è ancora del tutto superata e la riunificazione del paese appare fragile. Nei giorni della campagna elettorale, gli osservatori internazionali non hanno mancato di sottolineare episodi di corruzione diffusa , voti di scambio e intimidazioni. Alcuni ricche personalità locali pare non abbiano esitato a mettere mano al portafogli per comprare i voti dei delegati. Ciò sfruttando l’enorme debolezza istituzionale della nazione africana: basti pensare che ancora oggi in Somalia non ci sono partiti politici, né è mai esistito un vero stato centrale dal 1991, ovvero dai tempi della caduta del presidente Siad Barre.
Di conseguenza, anche le ultime elezioni sono state giocate interamente sulla capacità dei 23 candidati di tessere le loro reti di sostegno tra i clan somali che si dividono i seggi alla Camera (il Senato, invece, rappresenta le province). Il tutto in un contesto catastrofico dal punto di vista umanitario, con una crisi alimentare che colpisce ormai – secondo le stime delle Nazioni Unite – tra 6 e 10 milioni di persone.
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