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Il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan è in visita ufficiale a Roma mentre l’aviazione bombarda da settimane i curdi nel nord della Siria.
Da più di due settimane ormai la regione curda di Afrin, nel nord della Siria, è nel mirino dell’esercito della Turchia. Le truppe del presidente Recep Tayyip Erdogan si sono infatti scagliate contro le milizie locali, dando vita a scontri particolarmente violenti. Obiettivo di Ankara: evitare che i curdi – considerati come acerrimi nemici e potenziali terroristi – possano consolidare il potere sul territorio e costituire, un domani, un loro stato.
L’operazione – battezzata “Ramoscello d’ulivo” – è in pieno svolgimento mentre il leader turco è in visita in Italia (proprio oggi è previsto un colloquio con il papa in Vaticano). Nel frattempo, a Sochi, sulle rive del mar Nero, si tenta di discutere un processo di pace al quale i curdi hanno deciso di non partecipare proprio in ragione dell’offensiva lanciata che subiscono dalla Turchia. La popolazione è infatti da giorni sotto le bombe dei caccia inviati da Ankara.
Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo sono state colpiti in particolare i settori di Rajo e di Jandairis. Raid sono stati segnalati anche nella stessa città di Afrin, capoluogo della regione. La ong ha parlato già di decine e decine di morti tra i combattenti curdi, ai quali si aggiungono più di una sessantina di civili uccisi, tra i quali anche almeno venti bambini (sebbene la Turchia abbia affermato di concentrarsi unicamente su obiettivi militari).
In Afrin, hundreds of young Syrian Kurds have enlisted in the ‘resistance’ movement against a Turkish-backed assault https://t.co/tgRy2BBWyW pic.twitter.com/lf4JYbA81D
— AFP news agency (@AFP) February 5, 2018
A convincere Erdogan a lanciare l’attacco è stato l’annuncio della creazione di una “forza di frontiera” da parte dei combattenti dell’Ygp – le milizie curde dell’Unità di protezione popolare – che da anni risultano un alleato fondamentale per la coalizione internazionale presente in Siria (a guida americana) con l’obiettivo di sconfiggere i militanti dello Stato Islamico. Non a caso, in numerose manifestazioni che sono state organizzate in questi giorni in Europa per sostenere la causa curda, è stato ricordato come l’Ypg sia stato cruciale nella battaglia contro il terrorismo.
Per Ankara, però, rimane prioritario evitare di concedere alla minoranza un’autonomia territoriale. Erdogan ha spiegato infatti che “l’offensiva non si fermerà finché non avremo eliminato la minaccia terrorista alla nostra frontiera”. Facendo riferimento, ovviamente, ai combattenti curdi. Il presidente turco ha così ignorato gli appelli alla prudenza e ha fatto sapere di voler estendere il conflitto alla città di Minbej, nella quale è presente un numero ingente di forze statunitensi. Secondo quanto riferito dal National Geographic, inoltre, un bombardamento aereo turco ha distrutto il tempio ittita di Ain Dara, importante luogo di culto e “una delle più grandi e antiche costruzioni presenti nel paese”.
#UPDATE At least 23 civilians were killed as Syrian government air strikes pounded a rebel-held enclave near the capital Damascus, a monitor says https://t.co/TXKxd5aZpD pic.twitter.com/UFXDmTQbmJ
— AFP news agency (@AFP) February 5, 2018
I curdi, intanto, resistono e contrattaccano. Un missile anticarro ha ucciso nella giornata di sabato 3 febbraio cinque soldati turchi. “Siamo in possesso di informazioni relative a quale paese ha fornito tale arma al nemico”, ha dichiarato domenica il capo di stato parlando alla stampa subito prima di lasciare Istanbul per recarsi a Roma. “È chiaro che i responsabili hanno deciso di prendere le parti del terrorismo: non appena l’informazione sarà certa, la condivideremo con il mondo intero”. In precedenza, la morte di altri 15 soldati turchi era stata segnalata nella città di Buki.
Nel frattempo, nel resto della Siria la situazione non riesce a stabilizzarsi. Nella provincia di Idleb, di recente, otto civili sono stati uccisi in un raid effettuato dall’aviazione del presidente Bashar al-Assad. Altri 21 sono morti in circostanze simili a Saraqib. Nella stessa località, Medici senza frontiere ha riferito di due attacchi che hanno colpito un ospedale, parlando di “raid scioccante che mostra la brutalità del conflitto”.
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