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Il sindaco ecologista di Grenoble, Eric Piolle, racconta i primi due anni alla guida della città: “Siamo di sinistra, ma le nostre idee parlano a tutti”.
Eric Piolle è l’unico sindaco ecologista di una grande città francese. Ingegnere, quarantatré anni, nato nei Pirenei Atlantici, vive a Grenoble dai tempi dell’università. Nel 2014 si presenta come outsider alle elezioni comunali, alla testa della lista “Grenoble, una città per tutti”, sostenuta da un’alleanza tra il partito Europe-Ecologie Les Verts (i verdi francesi), il Parti de gauche (Partito della sinistra), la Sinistra Anticapitalista e due associazioni locali.
Contrariamente alle previsioni, dopo il primo turno elettorale si ritrova in testa, superando sia il candidato del Partito socialista di François Hollande, sia quello dell’Ump di Nicolas Sarkozy. Grenoble diventa così un “caso” politico. I socialisti si dicono ancora convinti di vincere, ma al ballottaggio i grenoblesi confermano la scelta: il sindaco verde viene eletto primo cittadino della “capitale delle Alpi” staccando il suo avversario diretto di quasi tredici punti percentuali.
Qual è stato il suo primo obiettivo una volta eletto?
Rinnovare il legame democratico con gli abitanti della città. Cominciando con un esercizio di sobrietà. In questa ottica, abbiamo abbassato del venti per cento le indennità percepite dai consiglieri comunali, e abbiamo rinunciato alle auto e agli appartamenti di servizio. Personalmente, ho scelto di percepire meno della metà del salario massimo previsto dalla legge per un sindaco. Mentre tutti i miei colleghi che governano grandi città sono rimasti al livello più alto.
Siete al lavoro da due anni: come è cambiata Grenoble?
Abbiamo avviato una trasformazione dell’immaginario. Partendo da scelte molto concrete, come ad esempio il voler incentivare un cambiamento profondo nel modo di concepire gli spostamenti urbani. Il risultato è che abbiamo registrato un incremento dell’uso delle bici del dieci per cento nel primo anno, e del venti nel secondo.
Una delle prime decisioni è stata quella di eliminare le pubblicità dalle strade, piantando al loro posto alberi. Una scelta pedagogica?
Siamo convinti che gli spazi pubblici siano i luoghi dove si “crea” la città. Eliminare le pubblicità significa restituire tali spazi alla popolazione. Ma è anche il nostro contributo al processo di superamento del modello basato sulla società dei consumi, che non può rappresentare il futuro né per l’umanità, né per il pianeta. Per le vie della città passeggiano i bambini che vanno a scuola: dobbiamo pensare anche alla loro educazione.
Dal primo gennaio in tutta Grenoble vige il limite dei 30 km/h: una prima assoluta per una grande città. Gli automobilisti lo rispettano?
Come in tutte le cose ci vuole tempo per i cambiamenti. In primavera installeremo nelle strade molti cartelli e autovelox dissuasori. Ero adolescente quando si passò ai 50 km/h: anche all’epoca ci volle un po’ di tempo. Ma sono proprio i cambiamenti lenti quelli più duraturi. E il nostro è un progetto ambizioso: vogliamo cambiare il rapporto stesso tra la popolazione e la città.
A Grenoble, la vitesse en ville passe à 30 km/h – Le journal de 20h http://t.co/FVCWXR0zji via @MYTF1News
— Eric Piolle (@EricPiolle) 17 Settembre 2015
Pensa che l’esperienza di Grenoble sia ripetibile altrove?
Certamente: in Spagna esistono casi politici del tutto simili. Ma attenzione: ciò che ha vinto, qui, due anni fa, è un progetto aperto, partito dalla base, e che parla a tutti. Il fatto che siamo stati noi ad avanzarlo è secondario.
L’ecologia è sempre più un tema centrale. Eppure i verdi francesi restano attorno al 4-5 per cento. E in Italia quasi non esistono. Come se lo spiega?
Finché l’ecologia si farà rinchiudere in uno schema politico tradizionale, in assi unidimensionali come la dicotomia destra-sinistra, sarà difficile fare ciò che è necessario, ovvero parlare a tutti. Certo, la nostra storia proviene da una cultura politica di sinistra, e da un impegno a sinistra. Ma ciò non ci ha impedito di indirizzare anche ad altri le nostre idee, il nostro progetto. Occorre parlare a tutti coloro che sono colpiti dalla violenza del sistema neoliberista, da una visione dell’uomo consumistica e strumentale, e dalle minacce che subiscono le nuove generazioni a causa del sovrasfruttamento delle risorse della Terra. Sono questioni che riguardano tutti, anche i tanti che votano socialista o partiti di centro, magari turandosi il naso.
Quindi i movimenti ecologisti, anziché allearsi con i grandi partiti di centrosinistra, dovrebbero promuovere un loro modello?
In Francia il Partito socialista non è stato in grado di costruire un progetto di società positivo. La questione non è cercare di “ecologizzare” i partiti o i candidati socialisti, soprattutto dopo la virata a destra del primo ministro Manuel Valls. La questione è parlare ai cittadini con un progetto che abbia una forza propria.
I progetti necessitano però di finanziamenti: l’austerità è un freno al cambiamento?
Lo è certamente. Qualche mese fa ho inviato una lettera ai cittadini per spiegare in che modo i tagli ci stiano mettendo in difficoltà. La transizione ecologica necessita di scelte politiche e anche di mezzi finanziari. Mario Draghi ha deciso di iniettare liquidità nel sistema, ma di farlo attraverso le banche private: se quei soldi fossero andati a finanziare direttamente la transizione, avremmo creato moltissimi posti di lavoro. E, soprattutto, un’idea d’Europa estremamente positiva.
A dicembre si è tenuta a Parigi la Cop 21: è stata un successo?
Non è stata una sconfitta come accaduto a Copenaghen. A Parigi il mondo si è dato un orizzonte e degli obiettivi comuni di cooperazione. È una tappa. Ora però occorre tradurre tutto in atti concreti. E consentire alla società civile e alle collettività territoriali di mettere in opera la transizione. Perché è da qui, da noi, che parte il cambiamento.
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