
Superfood di tendenza, secondo le previsioni l’avocado diventerà il frutto tropicale più commercializzato entro dieci anni. Ma dietro la sua produzione si celano deforestazione, perdita di biodiversità, criminalità e inquinamento.
I cambiamenti climatici hanno effetti sulla produzione agricola, così al sud le coltivazioni tradizionali vengono sostituite da quelle di frutta tropicale.
Sembra strano a dirsi, ma in Italia, in questo inizio settembre è iniziata la raccolta del mango. Se fino a poco tempo la disponibilità di questo frutto dipendeva dalla sua coltivazione ai tropici, in particolare nell’Asia meridionale, da qualche anno si può trovare sul mercato anche mango italiano. Sono gli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura che – come spiegato da Coldiretti – stanno modificando radicalmente la mappa delle produzioni, compresa quella della frutta tropicale.
Le coltivazioni di frutta esotica tra Sicilia, Puglia e Calabria sono triplicate negli ultimi cinque anni e hanno superato i mille ettari: si produce mango, ma anche avocado, banane, frutto della passione, anona, feijoa, casimiroa, zapote nero, litchi che spesso soppiantano gli alberi di agrumi, meno remunerativi: secondo Coldiretti, negli ultimi 15 anni in Sicilia, dove la raccolta di mango prosegue fino a novembre, il terreno coltivato ad arance è diminuito del 31 per cento, quello dei mandarini del 18 per cento, quello dei limoni addirittura del 50 per cento. Cambia il clima, cambia l’agricoltura e questo è il risultato del riscaldamento globale e degli anni più caldi degli ultimi due secoli, 2014, 2015, 2018, 2019, 2020, 2022 e 2023: l’anno in corso sta registrando una temperatura superiore di 0,67 gradi rispetto alla media storica, tra le più alte mai registrate dal 1800.
Cambia anche l’agricoltura al nord con olio e vino prodotti a latitudini sempre più settentrionali. Si trova in in provincia di Sondrio, l’ultima frontiera dell’olio d’oliva italiano: secondo Coldiretti, negli ultimi dieci anni in Valtellina si è passati da zero a circa diecimila piante, su quasi 30mila metri quadrati di terreno. La vendemmia parte già a inizio agosto, rispetto ai tradizionali primi giorni di settembre: le uve maturano prima e sono più dolci.
La disponibilità di frutta tropicale italiana consente certamente un risparmio in termini di emissioni e inquinamento legato al trasporto e c’è da considerare che i frutti vengono raccolti nel loro periodo di maturazione, al meglio delle loro qualità organolettiche. È poi una fonte di guadagno per gli agricoltori che vi hanno investito, ma c’è da dire che non basta adattarsi ai cambiamenti climatici, occorre contrastarli e mitigarli. Serve una programmazione che, attraverso ad esempio pratiche agroecologiche, metodo biologico e agricoltura di precisione, consenta una corretta gestione dell’acqua, preservi la salute del suolo e tuteli la biodiversità così da poter ottenere benefici a lungo termine da queste nuove coltivazioni senza fare danni all’ambiente e al clima.
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