L’associazione dei consumatori, analizzando otto campioni di riso basmati, ha rilevato la presenza di pesticidi in circa la metà dei campioni, e aflatossine in cinque di essi.
Una ricercatrice analizza in un articolo come scegliere i vegetali al posto della carne riduca maggiormente l’impatto ambientale della dieta, indipendentemente dalla provenienza.
“Vuoi ridurre l’impronta di carbonio della tua alimentazione? Focalizzati su cosa mangi, non se il cibo sia locale”: il titolo di questo articolo scritto qualche anno fa da Hannah Ritchie, ricercatrice dell’università di Oxford, sul sito web di statistica One world in data, è a dir poco curioso. L’autrice si interroga su quanto mangiare prodotti di provenienza locale – una raccomandazione comune in tema di sostenibilità – sia davvero efficace in termini di impatto, o se sia più rilevante, invece, la scelta di cosa mangiare.
“Sebbene mangiare locale possa avere un senso poiché i trasporti causano emissioni, questo consiglio è fuorviante – scrive Ritchie – Quest’azione avrebbe un impatto significativo solo se i trasporti fossero responsabili di una quota importante dell’impronta di carbonio finale del cibo, ma per la maggior parte degli alimenti, non è questo il caso”. Poiché le emissioni di gas serra derivanti dai trasporti costituiscono una piccola percentuale di tutte le emissioni derivanti dal cibo, spiega l’autrice, ciò che si mangia è molto più importante della provenienza del cibo.
A supporto di questa affermazione Ritchie riporta le emissioni di gas serra di 29 prodotti alimentari, dalla carne di manzo alle noci, e la fonte da cui sono generate (cambiamenti dell’uso del suolo, trasporto, imballaggio) traendo i dati dalla più grande meta-analisi dei sistemi alimentari globali fino ad oggi, pubblicata su Science da Joseph Poore e Thomas Nemecek (2018).
Quello che emerge è che la carne bovina genera molte più emissioni di gas serra di qualsiasi altro prodotto vegetale, indipendentemente da quanti chilometri abbia percorso quest’ultimo: per fare un confronto, produrre un chilo di manzo emette 60 chilogrammi di gas serra di CO2 equivalente, mentre i piselli emettono solo 1 chilogrammo di CO2 equivalente per chilo di prodotto.
La maggior parte delle emissioni sono originate dal cambiamento di uso del suolo, dall’utilizzo di fertilizzanti, dalla fermentazione enterica dei bovini, mentre per la maggior parte dei prodotti alimentari, il trasporto rappresenta in media il 6 per cento delle emissioni. Dunque, sull’impatto ambientale della propria dieta pesa di più la scelta di cosa mangiare, ovvero prediligere i vegetali alla carne, che la provenienza del cibo. Se poi i vegetali, sono anche locali, l’impronta sarà ancora più limitata.
L’impatto del trasporto degli alimenti è significativo però quando il mezzo utilizzato è l’aereo, sottolinea l’autrice in conclusione, ma solo una piccola parte del cibo viene trasportato in questo modo perché la maggior parte dei prodotti viaggia via nave. È bene dunque evitare i prodotti trasportati in aereo: si riconoscono dall’indicazione in etichetta quando presente o dal fatto che si tratta di alimenti molto freschi, ma provenienti da lontano.
A qualche anno di distanza da questo primo articolo, Hannah Ritchie è intervenuta di nuovo sul sito per ribadire il concetto in occasione dell’uscita di uno studio pubblicato su Nature Food che sosteneva come le emissioni del trasporto di cibo fossero il 20 per cento del totale delle emissioni del sistema alimentare e che mangiare locale era importante per ridurle.
In questo caso però lo studio comprendeva nei “chilometri alimentari” – ovvero i chilometri percorsi dal cibo dal punto di produzione al punto di consumo – anche le emissioni derivanti dal trasporto nei processi a monte, come il trasporto di fertilizzanti, pesticidi, macchinari, bestiame e combustibili. Considerando, invece, solo il trasporto di cibo, i risultati dello studio non sarebbero così diversi dalle stime precedenti.
“Ciò che è molto più efficace nel ridurre le emissioni è mangiare meno carne, in particolare manzo e agnello. Ridurre lo spreco alimentare. Migliorare le rese e la produttività delle colture per ridurre l’uso del suolo e la deforestazione”, ribadisce dunque Ritchie in conclusione.
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