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Uno studio olandese ha calcolato la riduzione delle emissioni legate ai sistemi alimentari con l’adozione di diete più sane e sostenibili.
Le scelte alimentari della popolazione mondiale possono fare la differenza nelle emissioni di gas serra. Esattamente come e quanto lo ha calcolato uno studio dell’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, pubblicato su Nature Climate Change, secondo cui le attuali emissioni annuali del sistema alimentare globale diminuirebbero del 17 per cento con l’adozione mondiale della dieta planetaria Eat-Lancet che prevede sostanzialmente una rimodulazione dell’apporto proteico con una riduzione del consumo di carne a favore di legumi e noci per migliorare la salute della popolazione e, al contempo, l’impatto ambientale dei consumi.
Lo studio sottolinea come non tutti contribuiscono allo stesso modo alle emissioni legate al cibo a causa delle disparità nello stile di vita, nelle preferenze alimentari e nell’accessibilità economica all’interno e tra i diversi paesi. Livelli elevati di consumo di cibo (in particolare diete a base di proteine animali), portano a emissioni sostanziali. Allo stesso tempo, oltre 700 milioni di persone soffrono ancora la fame e quasi 3,1 miliardi di persone non possono permettersi una dieta sana. Estendere la produzione alimentare attuale aggraverà però ulteriormente i cambiamenti climatici. La soluzione dunque, consiste nel cambiare gli stili di vita e le scelte dei consumatori verso diete più sane, allineate con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite che consentano anche di contrastare la fame e tutelare la salute.
Gli studiosi hanno esaminato la spesa alimentare delle famiglie in 139 paesi o aree riguardo a 140 prodotti alimentari. All’interno dei singoli paesi, i gruppi di consumatori con più alte possibilità di spesa generalmente causano più emissioni alimentari a causa di un maggiore consumo di carne rossa e latticini. Tale disuguaglianza è più pronunciata nei paesi a basso reddito. Secondo i calcoli, più della metà della popolazione mondiale (56,9 per cento), che attualmente consuma troppa carne e prodotti di derivazione animale, risparmierebbe il 32,4 per cento delle emissioni globali attraverso cambiamenti dietetici. Questo compenserebbe l’aumento del 15,4 per cento delle emissioni globali delle popolazioni che attualmente consumano poco e che si sposterebbero verso diete più sane e nutrienti. In questo modo, come citato in precedenza, si otterrebbe quella riduzione globale netta delle emissioni del 17 per cento (rispetto ai livelli del 2019).
Si legge nello studio: “Abbiamo scoperto che, rispetto ai prodotti di origine vegetale, i prodotti di origine animale, in particolare carne rossa e latticini, mostrano un potenziale maggiore per ridurre sia i volumi di emissioni sia le disparità di emissioni tra diversi gruppi di spesa. Le priorità risiedono nella riduzione del consumo eccessivo di specifici prodotti ad alta intensità di emissioni nei paesi ricchi, come la carne di manzo in Australia e negli Stati Uniti, per ottenere benefici per la salute e il clima”. I cambiamenti di dieta comporterebbero una diminuzione dell’offerta globale (in contenuto calorico) di carne rossa dell’81 per cento, mentre quella di legumi e noci aumenterebbe del 438 per cento.
Come si potrebbe favorire il cambiamento di dieta? Secondo gli studiosi occorrono incentivi, come l’implementazione di sussidi o tassazione sulle esternalità ambientali attraverso il prezzo del cibo, l’etichettatura climatica e l’ampliamento della disponibilità di prodotti a minore intensità di emissioni.
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