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L’uomo e altre sei persone, responsabili di un attentato con il gas nervino alla metropolitana di Tokyo nel 1995, sono stati impiccati.
La pena di morte, al di là dell’aspetto etico, è inefficace, negli stati dove viene ancora praticata, infatti, non funge da deterrente per gli omicidi. Questa pratica anacronistica è in netto calo, secondo il rapporto annuale di Amnesty International, pubblicato lo scorso aprile, il numero di condanne a morte in tutto il mondo nel 2017 è sceso a 993. Tra i paesi che ancora uccidono i propri detenuti c’è il Giappone, in cui le esecuzioni avvengono in segreto, il condannato viene giustiziato senza o con pochissimo preavviso, mentre i famigliari, gli avvocati e l’opinione pubblica sono informati solamente a esecuzione avvenuta. Lo scorso venerdì sono state eseguite sette condanne a morte, sono stati impiccati Shoko Asahara, leader della setta Aum Shinrikyō, e sei adepti, Tomomasa Nakagawa, Tomomitsu Niimi, Kiyohide Hayakawa, Yoshihiro Inoue, Seiichi Endo e Masami Tsuchiya.
I sette uomini sono responsabili dell’attentato nella metropolitana di Tokyo, nel 1995, effettuato utilizzando un tipo di gas nervino, il sarin. Nell’attentato morirono tredici persone mentre oltre seimila furono intossicate dal gas. Con queste esecuzioni sale a tredici il numero di membri della setta condannati a morte.
La setta Aum Shinrikyō, letteralmente “suprema verità”, si basava su un bizzarro insieme di credenze che uniscono aspetti del cristianesimo e scritti di Nostradamus, con particolare riferimento all’Armageddon citato nell’Apocalisse, inserendo inoltre lo yoga e l’occulto. Solo i seguaci della setta, stando al culto, si sarebbero salvati dall’imminente apocalisse nucleare. Il culto, fondato nel 1984, un tempo poteva contare su oltre 10mila seguaci in Giappone e circa 30mila in Russia.
L’ex leader della setta e i suoi seguaci sono stati impiccati nei centri di detenzione di Tokyo e Matsumoto. Shoko Asahara, ideatore dell’attentato di Tokyo, il peggiore attacco terroristico della storia del Paese, era stato condannato a morte nel 2004. L’esecuzione è stata confermata dal segretario generale del governo giapponese, Yoshihide Suga.
L’organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha condannato le esecuzioni, “non sono un atto di giustizia”, ha sostenuto, ricordando che alcune delle condanne sono state eseguite nonostante fossero stati presentati appelli per un nuovo processo. “Gli attacchi di Aum Shinrikyō furono orribili e i responsabili meritavano di essere puniti, ma la pena di morte non è mai la soluzione – ha dichiarato Hiroka Shoji, ricercatore di Amnesty International sull’Asia orientale. – Giustizia significa accertare e punire le responsabilità ma anche rispettare i diritti umani di tutti. La pena di morte è l’estrema negazione di tali diritti”.
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