
La sostenibilità si nutre di innovazioni. Nel tessile vediamo l’applicazione virtuosa di tecnologie che apparentemente non c’entrano nulla.
White Milano si tinge di verde: Give a fokus riporta l’attenzione sulla sostenibilità nel mondo della moda.
“A hub to put focus on the unfocused”. È scritto a chiare lettere, all’ingresso. Difficile non notarlo. Dal 19 al 22 settembre, in occasione della settimana della moda femminile, al White Milano è tornato Give a fokus, l’hub sostenibile che si avvale della direzione artistica di Matteo Ward, co-fondatore, tra le altre cose, di Wråd.
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Nella nuova location di Tortona 31 | ex carrozzeria, si parla di sostenibilità nel mondo della moda, uno dei settori più gravosi in termini di impatto ambientale, e lo si fa con installazioni e dati – preoccupanti – che hanno l’obiettivo di (ri)svegliare le coscienze su un tema che non si può più ignorare.
Visualizza questo post su InstagramWe believe in sustainability, we believe in Give a Fok-Us! This edition comes back the sustainability hub, directed by Matteo Wrad with a selection of brand chosen according to 5 topics: Water, Chemicals, Traceability, People and Waste & Climate Change. Discover it from 19 to 22 September. Free public access! . . @analyticalgroup @econylbrand @albini1976 @supima #oritain @cittadellarte @boyishjeans @fash_rev @lifegate @sdgsteacher @drawlight_net @restuccia_allestimenti . . . #WhiteShow #Whiteshowofficial #show #Whiteshow #white
Sono cinque le aree monotematiche in cui viene analizzato il rapporto tra moda e ambiente: water (acqua), chemicals (sostanze chimiche), climate change (cambiamenti climatici), waste (spreco) e people (persone).
Il fil rouge di tutte le stanze è il gioco di parole tra fact e act. “Fact è lo status quo del perché la moda oggi sia così impattante dal punto di vista ambientale – spiega Ward – e, a sua volta, contiene la parola act, cioè un invito all’azione, sia per i buyer sia per i consumatori finali, sia per i brand”.
Le installazioni si snodano lungo un percorso immersivo e pongono l’accento sugli aspetti più problematici della produzione dei capi di abbigliamento.
Il primo grande nemico della sostenibilità è il denim, al quale è dedicata la stanza sull’acqua, con un’installazione il cui protagonista è senza dubbio il jeans. Effetto vintage, lavaggi, finissaggi hanno tutti un forte impatto ambientale in termini di consumo idrico e sostanze chimiche. A questo problema tenta di dare una risposta Boyish, realtà che si avvale di tecnologici processi di finissaggio e lavaggio dei tessuti per ridurre la propria impronta.
“Le imprese – continua Ward – devono trovare il modo di reimmaginare il loro prodotto: le risorse naturali costeranno sempre di più, perché saranno sempre più scarse. Entro il 2030 si prevede che saremo otto miliardi, il consumo d’acqua aumenterà del 50 per cento, quello di energia del 60 per cento. Ma dove troveremo queste risorse?”.
A questa domanda ne seguono altre, a ruota. Cosa si nasconde dietro i coloranti? Cosa dietro a un trattamento idrorepellente? Come è fatta una semplice felpa con una stampa in plastica? Qual è il costo reale dal punto di vista chimico di una borsa in pelle? Nella seconda stanza il focus è l’impiego di sostanze chimiche, che danneggiano l’ambiente e la nostra pelle. E se è certo che il singolo individuo può prestare più attenzione alla lettura delle etichette che dichiarano certificazioni di conformità agli standard sostenibili, secondo Mattia Armelli – responsabile di Analytical group, partner nell’ideazione di questa area – a mancare è in primis lo Stato: “È vero che oggi c’è più attenzione ai temi della sostenibilità, il problema è che non si è trasferita alla supply chain. Attualmente sono avanti solo i grandi brand, spesso per una questione di convenienza. Ma la spinta iniziale la deve dare lo Stato: deve pagare laddove la gente non ha soldi per essere sostenibile, perché l’essere sostenibile costa, e soprattutto deve educare al tema”.
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Così come c’è bisogno di chiarezza per quanto riguarda l’uso dei combustibili fossili nella fabbricazione di fibre sintetiche, tema al centro della sezione climate change. Fibre naturali, fibre artificiali smart e fibre sintetiche sviluppate in dinamiche di economia circolare, sono una valida alternativa da tenere in considerazione.
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In waste, un’installazione con reti da pesca dimostra come ciò che ha rovinato il mondo sia la plastica. Molti non sanno che il 75 per cento dei nostri capi la contiene, insieme ai combustibili fossili. Econyl è l’esempio virtuoso da seguire: recupera e utilizza reti e plastiche industriali per trasformarle in nuovo filo di nylon e creare capi potenzialmente riciclabili all’infinito. Dati alla mano: “Per ogni 10mila tonnellate di Econyl – spiega Ward – si risparmiano 70mila barili di petrolio. Un capo che contiene un mix di fibre di nylon impiega fino a quarant’anni a smaltirsi; un mix di fibre di poliestere fino a duecento anni. Una maglietta 100 per cento cotone, cinque mesi”.
L’installazione immersiva di Drawlight, nella stanza dedicata alle persone, riporta le nostre coscienze a una semplice domanda: chi fa i nostri abiti? Troppo spesso ci dimentichiamo – o non sappiamo – che l’industria della moda conta circa 75 milioni di impiegati, le cosiddette ombre del settore, di cui l’80 per cento donne. Proprio in ottica di trasparenza e tracciabilità, l’ultima area vede Albini collaborare con Supima e Oritain.
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“È cominciato tutto con le mele”, racconta Gabriele Camozzi di Albini group. “Oritain è un’azienda neozelandese che ha iniziato a operare nel mondo del food. A un certo punto hanno trovato una quantità eccessiva di mele neozelandesi in Cina e si sono chiesti come fosse possibile. Dopo qualche ricerca, si sono accorti che quelle mele non erano realmente neozelandesi ma erano solo marchiate, cioè contraffatte. La stessa cosa noi la facciamo con i vestiti: si parte dal campo, vengono analizzati i componenti chimici che quello specifico cotone porta con sé. Questa ‘impronta’, che viene verificata lungo tutta la filiera, viene poi inserita in un database”.
Visualizza questo post su Instagram75 million people make our clothes. Who are they? What are their stories? Be curious. It can change the life of millions. #whomademyclothes. Installation Get In Sync People by @drawlight_net at WHITE Give A FOKus.
Un post condiviso da Matteo ??/?? (@matteo.ward) in data:
Il percorso si chiude con un’installazione del collettivo dei fashion designer sostenibili di Fashion b.e.s.t. (bio, ethical, sustainable, trend), sotto il cappello di Cittadellarte. Tiziano Guardini, Silvia Giovanardi, Flavia La Rocca, Fabrizio Consoli, Yekaterina Yvankova, Bav Tailor, Francesca Mitolo ed Edoardo Ianuzzi hanno realizzato un grande albero della vita, ispirandosi al pensiero di Michelangelo Pistoletto.
L’installazione ospita anche una felpa in fibra di Tencel™ di Lenzing, realizzata con tessuti e procedimenti a bassissimo impatto, che rappresenta la summa del messaggio che Give a fokus vuol dare. Ma come ha detto Olga Pirazzi, responsabile moda di Cittadellarte, “questo capo vuole essere il primo pezzo concreto di un progetto più a lungo termine” che – aggiungiamo noi – parte dalla consapevolezza e dall’educazione.
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