
La sostenibilità si nutre di innovazioni. Nel tessile vediamo l’applicazione virtuosa di tecnologie che apparentemente non c’entrano nulla.
La scelta dei materiali è importante per ridurre l’inquinamento provocato dalle attività industriali della moda. Ecco l’elenco dei tessuti più o meno ecosostenibili.
L’industria del tessile e dell’abbigliamento ha un ruolo cruciale a livello ambientale perché, oltre a essere uno dei principali consumatori di acqua a livello globale, incide per circa un decimo sul totale delle emissioni di gas serra presenti nell’atmosfera. Basti pensare che ogni anno vengono prodotti circa 80 miliardi di nuovi capi e che delle 5,8 milioni di tonnellate di rifiuti tessili scartate in Europa solo un quarto viene riciclato. Inoltre, secondo una ricerca condotta dalla Commissione europea, l’80 per cento dell’impatto ambientale di un prodotto è frutto della sua progettazione, in cui si stabiliscono gli elementi costitutivi che andranno a influenzare tutte le fasi successive. Per questo è diventato fondamentale sensibilizzare sull’importanza di scegliere fibre e tessuti ecologici in grado di ridurre l’impatto dell’intero ciclo produttivo di un capo d’abbigliamento.
Una delle classificazioni più utilizzate suddivide i tessuti in naturali, ovvero derivati da fibre organiche o di origine animale, e “man made”, cioè prodotti artificialmente dall’industria chimica. Alla prima classe appartengono il cotone, il lino, la canapa tessile, la lana, la seta e il caucciù o gomma naturale, mentre nella seconda convergono tutti i tessuti sintetici come il nylon e il poliestere, ottenuti da materiali fossili, e il rayon e l’acetato, realizzati partendo dalla cellulosa degli alberi. In termini di sostenibilità, questa categorizzazione non può considerarsi valida perché l’origine non decreta necessariamente l’impatto ambientale del materiale: a rendere i tessuti ecologici è il processo produttivo a cui viene sottoposta la fibra.
Questa categoria comprende tutte le fibre sintetiche che, a partire dagli anni Novanta, sono anche le materie prime più utilizzate nell’industria dell’abbigliamento superando di gran lunga quelle naturali come il cotone e il lino. Tra queste si trova il nylon, utilizzato principalmente nella calzetteria e nell’intimo femminile grazie alla sua elasticità, il poliestere, l’acrilico e l’elastam, meglio conosciuto con il nome di lycra.
A causa della loro composizione i tessuti sintetici hanno un bassissimo tasso di biodegradabilità. Tuttavia, il maggiore impatto ambientale di questi materiali è causato dalla derivazione da risorse sempre meno reperibili in natura e, soprattutto, dal processo produttivo con consumi energetici esorbitanti, emissioni di CO2 elevate e un alto rischio di disperdere sostanze chimiche pericolose durante la lavorazione.
Cotone, lino, juta, canapa, agave, kapok, ramié, cocco, ananas, ginestra, lana e seta rientrano nella cerchia dei tessuti derivati da fonti rinnovabili e, tra questi, anche l’acetato, il triacetato e la viscosa che vengono prodotti artificialmente partendo dalla cellulosa degli alberi o dagli scarti di altre filiere produttive. Nonostante la loro origine naturale questi materiali trovano un limite nella capacità biologica di terre da coltivare e nell’insufficiente disponibilità di bestiame. Per sopperire alla scarsa disponibilità di materie prime, infatti, si è spesso assistito ad allevamenti intensivi, torture sugli animali, deforestazione e modalità di coltivazione che prevedono l’utilizzo di sostanze inquinanti per l’aria, per l’acqua, per il suolo e per la fibra stessa su cui si depositano. Ecco perché sono nate alcune certificazioni come Gots per il cotone organico e NewMerino per la lana etica che garantiscono la sostenibilità etica e ambientale del tessuto controllando l’intero processo produttivo, dalla coltivazione della fibra alla lavorazione e nobilitazione del filato.
Questa categoria comprende tutti quei tessuti che possono essere riutilizzati così come sono o riciclati all’interno di un nuovo ciclo produttivo. Nel secondo caso si tratta di materiali che provengono dalla raccolta di abiti dismessi, da oggetti post-consumo appartenenti ad altri settori industriali o da scarti ed eccedenze prodotti nei diversi stadi della filiera. Tra i più diffusi troviamo la lana rigenerata prodotta all’interno del distretto di Prato partendo da vecchi indumenti o residui tessili e il cotone riciclato che a differenza di quello vergine presenta però una qualità di gran lunga inferiore obbligando i produttori a miscelarlo con altre fibre.
Quella del riciclo è un’ottima soluzione anche per ridurre i rifiuti di tessuti sintetici che non sono biodegradabili. Generalmente riportati alla loro composizione originaria attraverso una depolimerizzazione, i materiali di origine fossile riciclati per via chimica conservano più o meno la stessa qualità a prescindere da quante volte sono stati ripristinati. È per questo che si è deciso di introdurre delle certificazioni come Global recycled standard che controllino effettivamente se la fibra proviene da materia riciclata e non vergine, assicurando i giusti attributi per la sostenibilità.
Qui vengono racchiusi tutti i tessuti naturali innovativi che hanno già avuto particolare richiamo ottenendo anche premi prestigiosi come il Global change award della Fondazione H&M. Si tratta di progetti nati grazie alla creatività di giovani promotori della moda sostenibile che, con l’intento di ridurre i rifiuti industriali, hanno salvato gli scarti agroalimentari impiegandoli nella produzione di materiali a basso impatto ambientale. Dal filato Orange Fiber ottenuto dalle arance ai tessuti in similpelle vegetale Muskin, Piñatex, Wineleather e Pellemela ricavati rispettivamente dai funghi, dall’ananas, dalla vinaccia e dalla mela: queste sono alcune delle iniziative che si stanno facendo strada all’interno del mercato tessile andando ad ampliare sempre più il portfolio di soluzioni valide per il raggiungimento di un’economia circolare.
“La moda ha intrinseca una componente di spreco data dal bisogno di cambiamento e novità”, spiega Marco Ricchetti, curatore del volume Neomateriali nell’economia circolare – Moda di Edizioni ambiente. Questa esigenza coinvolge in prima linea i materiali impiegati nella realizzazione di abiti di tendenza. È questo il vero ostacolo che si pone di fronte alla necessità di trasformare l’industria della moda in un’attività più sostenibile: i tessuti ecologici devono presentare le stesse caratteristiche e gli stessi effetti di quelli tradizionali per poter risultare adeguati agli standard qualitativi richiesti dal consumatore.
Ma la moda è anche una grande esploratrice sempre aperta a sperimentare nuovi materiali innovativi che siano in grado di sposare i gusti e le culture del momento. Per questo, oggi, possiamo parlare di una moda più consapevole e rispettosa dell’ambiente che risponde alla sempre più crescente domanda di beni prodotti all’insegna della sostenibilità e della trasparenza.
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