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Condannati tre dei quattro imputati colpevoli di maltrattamento e uccisione di animale all’interno del centro di allevamento.
Dopo anni di sofferenze e di battaglie è arrivata la sentenza, i beagle di Green Hill sono stati maltrattati. È il risultato del primo grado del processo contro l’allevamento di cani di razza beagle destinati alla sperimentazione scientifica con sede a Montichiari chiuso nel 2012.
“Una sentenza storica che segna una straordinaria vittoria per gli animali – ha dichiarato Carla Rocchi, presidente nazionale dell’Enpa – il 23 gennaio sarà la Giornata della memoria dell’animalismo”. Una vittoria dunque per tutti coloro che si sono battuti in favore dei diritti degli animali ma soprattutto per gli stessi beagle, “ospiti” della struttura, animali che prima della liberazione non avevano mai camminato sull’erba, visto la luce del sole o ricevuto una carezza.
Sarebbero oltre seimila, secondo l’accusa, i cani morti all’interno di Green Hill tra il 2008 e il 2012. Il tribunale di Brescia ha condannato, con l’accusa di maltrattamento e uccisione di animale, tre dei quattro imputati, Roberto Bravi, direttore di Green Hill, Ghislane Rondot, co-gestore del centro e Renzo Graziosi, veterinario, rispettivamente a un anno il primo e a un anno e sei mesi gli altri due. Assolto invece Bernard Gotti, l’altro co-gestore della struttura, per non aver commesso il fatto.
“È la riscossa dei beagle, è un riconoscimento per tutti coloro che in tanti anni hanno manifestato, digiunato, firmato petizioni, realizzato inchieste giornalistiche, presentato denunce, scavalcato barriere fisiche e ideologiche che difendevano l’indifendibile”, ha affermato il presidente della Lav Gianluca Felicetti. Il tribunale ha inoltre vietato ai condannati di allevare cani per i prossimi due anni e ha disposto un risarcimento di trentamila euro per la Lav che si è costituita parte civile nel procedimento penale.
“All’interno di Green Hill c’era una strategia precisa non c’era alcun interesse a curare i cani malati – ha affermato il pm Cassiani nel corso della requisitoria. – Le cure avrebbero potuto alterare i parametri per la sperimentazione. I cani andavano quindi sacrificati”.
Le condanne sono state più miti rispetto alle richieste della pubblica accusa che aveva chiesto due anni di condanna per Roberto Bravi e tre anni e sei mesi per Renzo Graziosi, non soddisfatta comunque la difesa che aveva chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» e che ha dichiarato che ricorrerà in appello.
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