Gas russo e la guerra: le alternative e come cambierà la geopolitica

La guerra in Ucraina pone grandi interrogativi sul tema dell’energia: come cambierà l’approvvigionamento di gas russo? Su quali alternative punta l’Europa?

Il presidente della Russia, Vladimir Putin, ha annunciato in diverse occasioni la sua intenzione di impiegare il proprio arsenale nucleare verso chiunque interferisca con la guerra in Ucraina. Anche se le sue minacce sono al momento poco credibili – benché altre cose poco credibili siano poi diventate realtà –, Putin ha sicuramente un’arma molto affilata da usare contro i paesi dell’Occidente, ovvero l’energia, un tema sul quale l’Unione Europea è parecchio suscettibile. La Russia ha già iniziato a chiudere i rubinetti del gas e perciò Bruxelles si sta muovendo per correre ai ripari. Il fatto è che l’Europa soddisfa quasi il 40 per cento del proprio fabbisogno energetico importando gas dalla Russia (155 miliardi di metri cubi nel 2021), quindi il problema assume una notevole rilevanza in questo momento storico. Vediamo dunque in che modo la guerra in Ucraina può cambiare il panorama dell’approvvigionamento del gas in Europa e nel mondo.

Come arriva in Europa il gas russo?

Il gas proveniente dalla Russia arriva in Europa principalmente attraverso tre gasdotti:

  • Nord stream
  • Yamal
  • Urengoy-Pomary-Uzhgorod

Il Nord stream parte dalla città russa di Vyborg passa nel mar Baltico e giunge a Greifswald, in Germania. Poi c’è il gasdotto Yamal che passa dai paesi baltici e dalla Polonia. Attualmente, il flusso di Yamal è stato interrotto: lo ha annunciato il suo operatore, la società tedesca Gascade. Infine, l’Urengoy-Pomary-Uzhgorod, lungo 4.450 chilometri, che parte dalla Siberia e passa per l’Ucraina, poi arriva in Austria e da lì a Tarvisio, in provincia di Udine.

Ci sarebbe anche il Nord stream 2, il progetto di raddoppio dell’attuale Nord stream: i lavori sono terminati a settembre ma mancano le autorizzazioni a procedere. Di proprietà dell’azienda energetica russa Gazprom – società sostenuta direttamente dal governo di Mosca – l’obiettivo del Nord stream 2 è quello di trasportare il gas dalla Siberia alla Germania. Ma il 22 febbraio, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato, nel corso di una conferenza stampa, il blocco temporaneo del gasdotto appena terminato.

Ma il gas arriva in Europa, in forma gassosa, anche da altri esportatori: dall’Algeria, dall’Azerbaijan, dalla Libia e dal nord Europa (in particolare da Norvegia e Olanda). Un’alternativa è il gas che giunge attraverso navi cisterne, in forma liquida (si parla in questo caso di gnl, gas naturale liquido), dal Qatar e dagli Stati Uniti.

impianto gas russia germania
Un impianto in Germania che trasporta gas dalla Russia © Katja Buchholz/Getty Images

Che alternative ha l’Europa al gas russo?

L’Europa sarà al più presto “indipendente dal gas, dal petrolio e dal carbone russo“, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Inoltre, l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) ha diffuso un decalogo per ridurre la dipendenza da gas. Ecco i dieci punti:

  • Non firmare alcun nuovo contratto di fornitura con la Russia. Effetto: garantire una maggiore diversificazione dell’offerta di gas a partire da quest’anno;
  • Sostituire l’apporto di gas russo con quello proveniente da altre fonti. Effetto: aumentare l’offerta non russa di 30 miliardi di metri cubi nel giro di un anno;
  • Introdurre un obbligo minimo di stoccaggio del gas. Effetto: migliorare la resilienza del sistema di fornitura di gas entro il prossimo inverno;
  • Accelerare lo sviluppo di nuovi progetti eolici e solari. Effetto: ridurre l’uso di gas di 6 miliardi di metri cubi nel giro di un anno;
  • Massimizzare la produzione di energia da bioenergia e nucleare. Effetto: ridurre l’uso di gas di 13 miliardi di metri cubi nel giro di un anno.
  • Adottare misure fiscali di breve termine su profitti inaspettati per tutelare i consumatori più vulnerabili dalle oscillazioni dei prezzi. Effetto: evitare l’aumento delle bollette di energia anche quando il prezzo del gas è alto;
  • Accelerare la sostituzione delle caldaie a gas con le pompe di calore. Effetto: ridurre l’uso di gas di 2 miliardi di metri cubi nel giro di un anno;
  • Accelerare la ristrutturazione di edifici e industrie per un maggior risparmio energetico grazie a un miglioramento dell’efficienza energetica. Effetto: ridurre l’uso di gas di quasi 2 miliardi di metri cubi nel giro di un anno;
  • Chiedere alle famiglie di abbassare di un grado il termostato di casa rispetto a quanto fanno di solito. Effetto: ridurre l’uso di gas di circa 10 miliardi di metri cubi nel giro di un anno;
  • Promuovere la diversificazione dei sistemi energetici verso una maggiore decarbonizzazione così da renderli più flessibili. Effetto: rendere meno forte il legame tra l’approvvigionamento di gas e la sicurezza energetica in Europa.

L’Europa stanno vagliando l’ipotesi anche di adottare una politica di acquisti comuni (ma come fanno notare gli esperti, non è una soluzione di facile realizzazione in un settore fortemente liberalizzato), ma soprattutto di infrastrutture comuni: un sistema di stoccaggi da gestire tramite un consorzio di operatori, tra cui l’italiana Snam.

E qui torniamo al gas liquido che viaggia via nave perché questo gas viene prima compresso a temperature bassissime e poi riportato ai volumi originari attraverso i rigassificatori, prima di essere immesso in rete. In tutta Europa ci sono una ventina di impianti: troppo pochi per coprire il fabbisogno europeo. Si dovrebbero, quindi, costruire nuovi rigassificatori (lavori che richiedono anni), senza considerare che il gnl costa sul mercato molto di più del gas russo, perché non è legato a contratti di lungo periodo.

Come l’approvvigionamento di energia cambia la geopolitica?

Il presidente Joe Biden ha vietato le importazioni negli Stati Uniti di petrolio, gas naturale e carbone dalla Russia con effetto immediato. Il Regno Unito si prepara a varare una misura simile, ma senza coinvolgere le forniture di gas. Gli alleati europei scelgono, invece, un piano d’azione per tagliare di due terzi l’import di gas dalla Russia entro un anno (qui spieghiamo in cosa consiste). La reazione di Putin non si è fatta attendere: il presidente russo ha minacciato la chiusura del gasdotto Nord stream 1.

Prima che si arrivi al blocco totale delle importazioni dalla Russia, i paesi europei le stanno provando tutte pur di trovare una rete alternativa di rifornimento. Secondo Al Jazeera, gli Stati Uniti – che vendono gas estratto con le impattanti tecniche di shale gas – stanno negoziando con il Qatar che potrebbe diventare un sostituto fondamentale della Russia nella fornitura di gas all’Ue e al resto del mondo. Ma, come stabilito nel corso del vertice dei paesi esportatori di gas (Gefc) conclusosi il 22 febbraio a Doha, per aumentare sensibilmente la produzione di gas, il Qatar necessiterebbe di investimenti importanti nelle infrastrutture per il gas e di contratti di lungo termine.

Così lo sguardo dei paesi europei si è rivolto ai paesi africani, che posseggono alcuni tra i più vasti giacimenti di gas del mondo, e che potrebbero soddisfare una domanda annua di 150-190 miliardi di metri cubi forniti attualmente dalla Russia all’Europa. La Tanzania, per esempio, afferma di essere al lavoro con la Shell per usare le sue enormi riserve di gas offshore ed esportarle in Europa e altrove. Altri importanti giacimenti di gas si trovano in Angola e in Mozambico.

Il più grande produttore di gas dell’Africa è la Nigeria, che ha già annunciato di voler costruire un gasdotto trans-sahariano lungo 614 chilometri che porti il gas nigeriano in Algeria, passando dal Niger, e da lì in Europa. E poi c’è l’Algeria: il Maghreb-Europa è il gasdotto che attualmente esporta più gas naturale dall’Africa, trasportandolo attraverso il Marocco, la Spagna e il Portogallo. C’è anche un altro gasdotto, il Medgaz, che collega l’Algeria direttamente alla Spagna: Medgaz incrementerà la sua portata, dati i rapporti tesi tra Algeria e Marocco.

Ma come per il caso del Qatar, anche in Africa servono investimenti significativi per costruire gasdotti transregionali e intercontinentali per trasportare il gas in Europa. Attualmente, questi investimenti sono per lo più coperti grazie ai prestiti concessi dalle banche cinesi.

mario draghi
Tra le proposte di Mario Draghi anche quella di riaprire le centrali a carbone © Antonio Masiello/Getty Images

Come fa l’Italia senza gas russo?

Dal valico di Tarvisio, provincia di Udine, il gas proveniente dalla Russia sta defluendo regolarmente. Eppure, l’impatto della guerra ha fatto crescere nuovamente i prezzi della materia prima: a dicembre, un megawatt prodotto bruciando gas costava in Italia 174 euro, mentre a una settimana dall’inizio della guerra è già schizzato a 200 euro. Per calmierare i prezzi ed evitare che tali rialzi gravino sulle tasche dei cittadini e delle imprese (l’Italia importa il 95 per cento del gas utilizzato, di cui il 45 per cento proviene dalla Russia), il presidente del consiglio Mario Draghi è intervenuto in Parlamento, delineando alcune soluzioni.

Tra le iniziative di contenimento, Draghi ha citato il raddoppio della portata della Tap, il gasdotto che passa sotto l’Adriatico e che porta in Italia il gas dell’Azerbaijan: funzionante ormai da mesi, il contestato Trans adriatic pipeline (Tap) assicura al momento il 10 per cento del nostro fabbisogno di gas. Inoltre, se venissero costruiti due impianti, uno in Turchia e uno in Grecia, il Tap potrebbe trasportare molto più gas. Ma ci vorrebbero sì e no 4 anni per completare i lavori.

Draghi ha parlato anche dell’impegno di aumentare le importazioni dall’Algeria (dove si è recato in questi giorni il ministro degli esteri Luigi Di Maio accompagnato da Eni) e di riaprire le centrali a carbone: una scelta criticata dal molti fronti perché da una parte va contro i piani precedenti per contrastare i cambiamenti climatici (anche se viene mantenuto l’impegno a chiuderle entro il 2025) e poi perché il 78 per cento del carbone italiano proviene proprio dalla Russia.

Infine, si è parlato di semplificare le procedure di estrazione del gas, sia onshore che offshore, e di realizzare nuovi rigassificatori. In questo momento in Italia sono attivi tre impianti di rigassificazione: due off-shore (al largo di Rovigo e Livorno) e uno a La Spezia. Secondo le ultime stime, se la Russia smettesse in questo momento di rifornirci di gas, l’Italia potrebbe andare avanti ancora quattro mesi al massimo. Ciò dimostra quanto siamo vulnerabili e quanto poco sia stato fatto in termini di rinnovabili in tutti questi anni, nonostante i numerosi proclami. In generale, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha promesso che “in 24-30 mesi saremo indipendenti dal gas della Russia”.

Ma alla Russia conviene perdere l’Europa tra i suoi clienti?

La Russia è il secondo produttore di gas naturale al mondo, dopo gli Stati Uniti, e l’Europa riceve il 70 per cento delle sue esportazioni. L’Europa, insieme al Regno Unito e agli Stati Uniti, spendono più di 700 milioni di dollari al giorno per importare petrolio e gas. Per questo motivo, può sembrare che Putin stia mettendo in pericolo le fondamenta finanziarie del Cremlino costruite quasi esclusivamente sulle esportazioni di gas naturale.

Eppure ci sono almeno due ragioni per cui la Russia potrebbe permettersi di tagliare le forniture di gas: la prima è che il governo di Moscaguadagna cinque volte di più dall’esportazione di petrolio rispetto al gas. Ma soprattutto perché, come ha spiegato un approfondimento de La Repubblica, proprio nelle ore in cui si avviavano i primi negoziati con l’Ucraina, Gazprom ha fatto sapere di aver chiuso in via definitiva l’accordo – annunciato nel dicembre 2019 – per la costruzione di un gasdotto lungo 3mila chilometri in grado di portare in Cina fino a 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno, ovvero la stessa quantità garantita dal Nord Stream 1 e 2 verso la Germania e più di cinque volte la capacità del gasdotto Tap. Si chiamerà “Forza della Siberia” ed è il più grande contratto mai sottoscritto da Gazprom nella sua storia.

All’inizio di febbraio, tre settimane prima dell’invasione ucraina, Cina e Russia hanno firmato nuovi accordi per la fornitura di petrolio e gas per un valore stimato di 117,5 miliardi di dollari, incluso un contratto di lungo periodo (30 anni) sul gas, che aumenterebbe la fornitura di gas della Russia alla Cina di un quarto rispetto ai valori odierni.

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Putin e Xi Jinping hanno stretto un accordo di lungo periodo per la fornitura di gas © Kenzaburo Fukuhara/POOL/Kyodonews

La soluzione è ridurre, diversificare, efficientare

In pratica, la nuova guerra mostra la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo e getta luce sulla fragilità della dipendenza dell’Europa dalle importazioni di fonti fossili. Una dipendenza che ha esposto il continente alla volatilità dei prezzi, agli shock delle forniture e ai rischi per la sicurezza, alimentando al contempo regimi antidemocratici.

L’obiettivo di affrancarsi dal gas va letto anche nel contesto dell’altra grande sfida del nostro tempo: i cambiamenti climatici. Il nuovo rapporto dell’Ipcc ha messo in evidenza quanto le nostre azioni per fermare i danni della crisi climatica siano stati finora insufficienti. Secondo il think tank Ecco, una risposta efficace e immediata al conflitto attuale deve prevedere sanzioni sul gas, dal valore circa del 3 per cento del Pil russo e del 7 per cento del bilancio del Cremlino, e misure alternative per compensare il blocco delle importazioni russe.

Inoltre, nel caso Italiano, l’incremento di gas nazionale non rappresenta una soluzione sostenibile: l’incremento di 2 miliardi di metri cubi all’anno, previsto dal piano del governo, corrisponde solo al 6 per cento delle importazioni di gas russo, con costi di estrazione molto più elevati. Molto meglio sarebbe concentrarsi su alcune misure pratiche, tra le quali il risparmio sul riscaldamento, l’efficienza energetica e sostituzione delle caldaie a gas con pompe di calore, il risparmio nel settore elettrico e, non da ultimo, lo sviluppo delle reti di fonti rinnovabili, con impianti fotovoltaici su edifici e nel settore industriale.

Insomma, la guerra dimostra ancora una volta che le fonti fossili, in un modo o nell’altro, alimentano i conflitti. Mentre le fonti rinnovabili non possono danneggiare le comunità, in alcun modo. Anzi, possono prevenire certi conflitti o, per lo meno, mitigarli. I governi di tutto il mondo dovrebbero fare proprie questa riflessione e puntare tutto, senza perdere ulteriore tempo, sulla transizione energetica.

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