I Mori senegalesi: abitanti del Sahel

A Nord di Saint Luis, antica capitale coloniale di Senegal e Mauritania, si estende il Sahel, territorio che anticipa il grande deserto del Sahara.

Qui il terreno è già morto, si spacca sotto il sole e
la vegetazione scompare ad ogni passo. L’ambiente è
pressoché invivibile tranne per qualche sparuta
comunità che ne sa sfruttare le pochissime risorse, siamo nel Sahel.

Prendendo la strada che da Saint Luis porta a Nord, in direzione
Rosso Senegal, ai confini col deserto della Mauritania, e svoltando
in una degli sterrati che si dirigono verso l’oceano, si entra
nella terra dei Mori.

I Mori, o Morò Senegales, sono quel che rimane di
un’antichissima popolazione di lingua araba, insediatasi lì
da un secolo e mezzo. I loro antenati erano con ogni
probabilità nomadi berberi, che nell’ottocento si
stabilirono nel sud della Mauritania e crearono una piccola e
attiva società.

Oggigiorno sopravvivono alcuni nuclei famigliari che mantengono
pressoché inalterate le loro radici, e sono completamente
separati dall’effettiva società senegalese: diversa la
lingua, diversi i costumi. Popolazione ospitale, amante della
musica, silenziosa, vive da anni il dramma di un deserto che
avanza, strappando irrimediabilmente ogni forma di sussistenza.
Vivono facendo pelli per tamburi e pascolando le pecore di cui,
è ovvio, non sprecheranno a.

Come ogni villaggio africano ad accoglierti arrivano vocianti i
bambini. Poi il capo o qualche altra autorità, si presenta
invitandoti a bere del tè o del latte di capra. I più
giovani si danno da fare: stendono coperte, portano grossi tamburi
e poi, tra l’entusiasmo generale, annunciano lo Chef Griot.
Il “capo cantastorie” (così, letteralmente) si siede e
intona un canto accompagnandosi col tamburo. Vicino a lui un’altro
suona la chitarra e, con uno sguardo, introduce il ballerino.
La danza comincia, lentamente. Una vecchia danza tribale, con
salti, grida, capriole. Suda molto il danzatore, per lui è
più di un impegno, è una responsabilità.
Finito lo spettacolo le “autorità” si ritirano e lasciano
giovani e donne a socializzare.

Martino Costa

 

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