Diritti animali

Cos’è l’influenza aviaria e cosa sta succedendo in Italia

Continua a diffondersi l’epidemia di influenza aviaria che sta decimando migliaia di polli e altri animali in tutto il mondo.

  • L’influenza aviaria è una malattia degli uccelli causata da un virus dell’influenza di tipo A che è in grado di contagiare pressoché tutte le specie di volatili, che siano selvatici o domestici.
  • Tra l’8 dicembre 2020 e il 23 febbraio 2021, l’Efsa – l’Autorità europea per la sicurezza alimentare – ha segnalato circa mille rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità in 25 paesi europei e appartenenti allo Spazio economico europeo (See), sottolineando il “rischio di un’ulteriore diffusione, specialmente nelle aree ad alta densità di pollame”.
  • In Italia, sono oltre trecento i focolai che dallo scorso ottobre ad oggi hanno portato all’uccisione di oltre 14 milioni di animali per fermarne l’avanzata.
  • La responsabilità della diffusione non sarebbe però da attribuire agli animali, quanto alle modalità con cui vengono allevati, spostati e uccisi, siano essi negli allevamenti o vittime della caccia.

“Influenza aviaria, 308 focolai in Italia”. “18 milioni di capi abbattuti”. “In Europa la peggiore epidemia di sempre”. “Influenza aviaria, abbattuti anche i cigni della regina Elisabetta”. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i titoli che riportano l’avanzata dell’epidemia di influenza aviaria. Milioni di animali sono stati uccisi e nel Regno Unito c’è stato persino un caso di contagio di un essere umano. Ma di cosa si tratta e come siamo giunti fino a questo punto?

animali chiusi nelle gabbie a causa dell'influenza aviaria
Continua a diffondersi l’epidemia di influenza aviaria che sta decimando migliaia di animali in tutto il mondo © Anna Gowthorpe/Getty Images

Cos’è l’influenza aviaria

L’Istituto superiore di sanità (Iss) definisce l’influenza aviaria come “una malattia degli uccelli causata da un virus dell’influenza di tipo A […] che è in grado di contagiare pressoché tutte le specie di uccelli”, che siano selvatici o domestici. I primi, soprattutto se vivono in ambienti acquatici e palustri, come anatre e cigni, fungono da serbatoi del virus. Lo ospitano nell’intestino, anche senza ammalarsi, e lo eliminano con le feci, con la saliva e con le secrezioni respiratorie. Possono però essere molto contagiosi per le specie domestiche come polli, anatre, tacchini e altri animali da cortile.

“L’importanza del controllo sanitario per questa malattia non è legato solo a un problema di sanità animale ma anche di sanità pubblica”, specifica l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie. “I virus influenzali appartenenti al tipo A possono, infatti, infettare anche altri animali (maiali, cavalli, cani, balene) nonché l’uomo”.

Vengono distinti due ceppi di influenza aviaria: uno a bassa patogenicità (distinto con la sigla Lpai) e uno ad alta patogenicità (Hpai), più pericoloso e in grado di causare la morte nella quasi totalità dei casi. I virus vengono ulteriormente divisi in diversi sottotipi distinti con la sigla H-N. Il più conosciuto è l’H5N1, diffuso dal 1997 e considerato dall’Iss il più preoccupante per la sua capacità di mutare rapidamente e di acquisire geni da virus che infettano altre specie animali.

alcune persone giocano con i piccioni nel Regno Unito
Vengono distinti due ceppi di influenza aviaria: uno a bassa patogenicità (distinto con la sigla Lpai) e uno ad alta patogenicità (Hpai), più pericoloso e in grado di causare la morte nella quasi totalità dei casi © Christopher Furlong/Getty Images

Come si trasmette e quali sono i sintomi dell’influenza aviaria?

Negli animali, i sintomi variano sia in relazione alla patogenicità del ceppo virale sia alla specie di volatile interessato. Negli esseri umani possono variare da una lieve infezione delle vie respiratorie superiori (febbre e tosse) a una grave polmonite, difficoltà respiratorieshock e arrivare persino alla morte.

Il principale fattore di rischio per l’uomo è l’esposizione in ambienti contaminati con alta carica virale e a stretto contatto con gli animali infetti, siano essi vivi o morti. Sono quindi situazioni a rischio i mercati di animali vivi (che hanno portato alla diffusione del virus in Asia); ma anche la macellazione, la spiumatura, la manipolazione delle carcasse, o il consumo di piatti dove è presente del sangue di pollame crudo e contaminato.

Com’è oggi la situazione dell’influenza aviaria in Italia

Non è chiaro con certezza come sia nata e come si sia diffusa questa epidemia che sta colpendo l’Europa. L’origine dell’influenza aviaria è attribuibile alla migrazione di uccelli selvatici principalmente dal nordest Europa (Russia, Kazakistan e Mongolia).

Dall’inizio del 2003, H5N1 si è diffuso dall’Asia all’Europa e all’Africa ed è diventato endemico nelle popolazioni di pollame in alcuni paesi. Da allora, ha effettuato una serie di salti di specie, acquisendo la capacità di contagiare anche gatti e topi, trasformandosi quindi in un problema di salute pubblica ben più preoccupante, secondo quanto riportato dall’Iss.

anatre
Anatre, abattimenti in Francia per l’aviaria © China Photos/Getty Images

Tra l’8 dicembre 2020 e il 23 febbraio 2021, l’Efsa – l’Autorità europea per la sicurezza alimentare – ha segnalato circa mille rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità in 25 paesi europei e appartenenti allo Spazio economico europeo (See), sottolineando il “rischio di un’ulteriore diffusione, specialmente nelle aree ad alta densità di pollame”.

Ai tempi, i casi erano principalmente legati ad alcuni allevamenti in Francia, dove, di lì a poco, sono state abbattute oltre 350mila anatre. Un numero raddoppiato a dicembre, quando oltre 650mila animali sono stati uccisi in un solo mese. In via precauzionale, gli allevamenti nel Regno Unito e in Francia sono stati messi sotto “lockdown”, ovvero tutti i volatili sono stati spostati all’interno per evitare contatti di ogni genere con la fauna selvatica.

Ma i focolai si sono presto moltiplicati anche in Italia, specialmente in Veneto che risulta essere oggi la regione più colpita, insieme a Lombardia e Lazio. Per questo, da ottobre anche in Italia sarebbe vietato allevare gli animali all’aperto, ma non sempre questa ordinanza viene rispettata, come dimostra l’ultima indagine dell’associazione Lav che ha ripreso diverse contravvenzioni. Secondo i dati riportati dall’Istituto sperimentale zooprofilattico delle Venezie, sono oltre trecento i focolai che dallo scorso ottobre ad oggi hanno colpito la penisola, portando all’uccisione di 13-14 milioni di animali per fermarne l’avanzata.

Solamente lunedì 24 gennaio, l’associazione Essere Animali, che da mesi si sta occupando di denunciare l’impennata nella diffusione dell’influenza aviaria, ha ripreso l’abbattimento di oltre 300mila polli in un allevamento in provincia di Vicenza.

Ma se i virus si diffondono così velocemente, la colpa non è degli animali.

Veneto, Lombardia e Lazio sono le regioni più colpite dall'influenza aviaria
Veneto, Lombardia e Lazio sono le regioni più colpite dall’influenza aviaria © Jamie McDonald/Getty Images

Le specie selvatiche sono sempre il capro espiatorio

“Gli uccelli selvatici sono spesso visti come i cattivi della situazione, ma sono in realtà le vittime di un virus che ha iniziato a diffondersi a causa del pollame. Usiamo le specie selvatiche come capro espiatorio per giustificare una pessima normativa in campo di biosicurezza e il fatto che muoviamo migliaia di polli per tutto il globo”, spiegava a novembre 2020 la dottoressa Ruth Cromie, ricercatrice al Wildfowl & wetlands trust – un ente di beneficenza internazionale per la protezione degli uccelli selvatici e delle zone umide nel Regno Unito – in un’intervista al quotidiano britannico Guardian.

Nel 2017 sono stati due miliardi i polli trasportati vivi in tutto il mondo e il numero non accenna a diminuire. Persino i paesi che stanno valutando di adottare delle restrizioni circa il trasporto di animali vivi, potrebbero escluderli dalla normativa, come nel caso del Regno Unito che sta decidendo se vietare le esportazioni di mucche e pecore, ma per il momento non prende in considerazione il pollame.

Tuttavia, il problema non è limitato solo agli spostamenti degli animali. Sarebbe al contrario da ricondurre all’inizio della catena, al momento e al luogo in cui nascono.

Il Regno Unito macella da solo un miliardo di polli all’anno © Jamie McDonald/Getty Images

Negli allevamenti intensivi gli animali sono cloni esposti ai virus

Gli allevamenti intensivi sembrano infatti essere uno dei fattori che permettono ai virus – non solo quello dell’aviaria – di diffondersi così velocemente. L’Efsa ha già sottolineato come “le attuali misure di biosicurezza siano insufficienti per fermare l’avanzata della malattia” e che sarebbe necessario “ridurre la densità degli allevamenti”. Ovvero: ci sono troppi animali tutti insieme.

Negli allevamenti intensivi, gli animali sono ammassati all’interno di capannoni in condizioni igienico-sanitarie terrificanti che creano l’ambiente ideale per permettere ai virus di diffondersi e mutare. A questo si aggiunge il fatto che sono stressati, fisicamente più deboli e privi di una diversità genetica per contrastare l’arrivo di patogeni esterni.

Questo accade perché tutti gli esemplari coinvolti nella filiera alimentare sono di fatto dei cloni, individui selezionati geneticamente per fornire il maggior profitto nel minor tempo possibile. I polli broiler, ad esempio, che vengono allevati per la loro carne, sono stati selezionati negli anni per raggiungere i 4 chili in meno di 50 giorni; le galline ovaiole per produrre 300 uova l’anno, contro le 30 che produrrebbero in natura. Questo, oltre a causare loro enormi problemi fisici, li rende geneticamente tutti uguali e potenzialmente più esposti ai virus perché manca loro quella diversità genetica all’interno del gruppo che, in natura, li renderebbe più resilienti. Come scrive Jonathan Safran Foer nel suo celebre saggio Se niente importa, negli allevamenti “La biodiversità è stata rimpiazzata dall’uniformità genetica”.

Struttura per l'allevamento industriale di polli
Negli allevamenti intensivi, gli animali sono ammassati all’interno di capannoni in condizioni igienico-sanitarie terrificanti che creano l’ambiente ideale per permettere ai virus di diffondersi e mutare © Essere Animali

Preoccupato anche il settore zootecnico

In questo caso, la gravità di questa epidemia di aviaria non è dichiarata solo dalle associazioni che si occupano di diritti animali, ma anche dagli stessi membri del settore zootecnico. “Questa è la peggiore in assoluto, sia per diffusione, sia per aggressività del virus, dal momento che può uccidere fino al cento per cento degli animali di un allevamento”, ha riflettuto il rieletto presidente della sezione avicoltori di Confagricoltura Veneto Michele Barbetta, che è anche titolare di un’azienda agrozootecnica che comprende quattro allevamenti avicoli a Carceri, in provincia di Padova.

Non bisogna poi dimenticare che i virus si possono trasmettere da azienda ad azienda tramite i mezzi meccanici, gli attrezzi e gli strumenti contaminati, le macchine, i mangimi, le gabbie, o perfino gli indumenti degli operatori.

influenza aviaria allevamento germania
Il virus dell’influenza aviaria si può trasmettere da azienda ad azienda tramite i mezzi meccanici, gli attrezzi e gli strumenti contaminati, le macchine, i mangimi, le gabbie, o perfino gli indumenti degli operatori © David Hecker/Getty Images

Nessuno parla della responsabilità del settore venatorio

Un rischio di diffusione particolarmente elevato è dato anche dalla caccia. “Il delta del Po è un wet market dove ogni stagione (questa) si uccidono milioni di uccelli che ospitano naturalmente i virus aviari”, ricorda la giornalista Sabrina Giannini in un post su Instagram.

È ormai di un anno fa la puntata del suo programma televisivo Indovina chi viene a cena dove indagava anche la problematica dell’aviaria. Nella ricchissima zona umida del delta del Po, sono proprio i cacciatori ad attirare i volatili, dato che da qui passa la più importante rotta di uccelli migratori provenienti da nord. “Questo determina la presenza di numeri grandissimi di anatidi”, precisava nella puntata Lorenzo Serra dell’Area avifauna migratrice dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. “Numeri che non sarebbero così alti se non venisse effettuata la pasturazione artificiale”.

Nelle aziende faunistico-venatorie, inoltre, viene permesso l’utilizzo dei richiami di animali vivi, ossia gli animali vengono tenuti all’interno di piccole gabbie per richiamare i loro simili, che finiranno uccisi dai cacciatori. “Richiamano i selvatici, con i quali condividono tutto: acqua, cibo e virus”, concludeva Giannini. Ad un anno di distanza, le cose non sono cambiate.

Anche l’associazione per la protezione dei diritti animali Lav invita a riflettere sul rischio di trasmissione dell’aviaria all’uomo in queste situazioni, dato che l’attività venatoria rappresenta “l’unico evento nel quale un essere umano può entrare legittimamente in contatto con il sangue e i liquidi organici degli animali uccisi, in assenza di ogni precauzione e senza che questi siano mai stati sottoposti a un controllo sanitario preventivo”.

Persino da uno studio svolto dall’Università di Bologna nel 2010 emerge che il virus dell’influenza aviaria si può trovare anche addosso al piumaggio delle anatre, rendendone quindi possibile la trasmissione anche solo maneggiando gli animali. Così facendo, i cacciatori sarebbero pericolosamente esposti al contagio e alla diffusione del virus.

cacciatore che mira in un campo rischia diffusione influenza aviaria
Un rischio di diffusione dell’influenza aviaria particolarmente elevato è dato anche dalla caccia © Pixabay

Ogni pandemia nasce da un’epidemia

In passato, ci sono già state tre pandemie di influenza aviaria (1918, 1957, 1968) che hanno provocato milioni di infezioni nel pollame, diverse centinaia di casi e molti decessi umani. E il rischio che risucceda è più concreto che mai. Il motivo principale per cui si teme una nuova pandemia è la compresenza del virus aviario con quello dell’influenza umana. Gli esperti temono che in una persona infettata da entrambi, il virus possa mutare e imparare a trasmettersi anche nella popolazione umana.

Quindi, se da un lato allevare gli animali al chiuso e abbattere tutti gli individui malati o che vengono in contatto con il virus sembra fermare temporaneamente l’avanzata di questa epidemia, dall’altro non risolve il problema a lungo termine e non garantisce che, di qui a un anno, non torneremo a parlarne. Perché ogni pandemia era in origine un’epidemia. E il coronavirus dovrebbe avercelo insegnato.

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