Diritti umani

Denis Mukwege. Non sono io a ricevere il Nobel, ma tutte le vittime di violenza che ho curato

Denis Mukwege, premio Nobel per la Pace 2018, è conosciuto come “il medico che ripara le donne” perché nel suo ospedale in Africa ha guarito, nel corpo e nell’anima, migliaia di vittime di stupro. Lo abbiamo intervistato a Milano.

È una di quelle persone che, guardandole negli occhi, trasmettono benessere. Senza bisogno di pronunciare parole. È come se l’aura che emanano fosse un balsamo per le ferite che tu, come chiunque altro, porti nel cuore. E ti restituiscono la fiducia nel genere umano, portandoti a realizzare che davvero esiste chi per gli altri desidera soltanto il bene.

Per questo, nonostante la riverenza che necessariamente si nutre nei confronti di un premio Nobel e la trepidazione che si prova nell’attesa d’intervistarlo, è inevitabile restare ammaliati quando il dottor Mukwege finalmente varca la soglia dell’auditorium Alberione a Milano. Il suo volto è sorridente, la mano tesa per stringere la tua.

La prima domanda che sorge spontanea è: “Come può una persona che ha dovuto assistere ad atrocità simili, dormire ancora la notte?”. Ma per Denis Mukwege, premio Nobel per la Pace 2018, la risposta è semplice: “Credo nel cambiamento. Altrimenti avrei già abbandonato la battaglia”.

E l’aver ottenuto l’ambito riconoscimento per i suoi sforzi contro l’uso della violenza sessuale come arma di guerra, per lui è una conferma di come il cambiamento sia possibile. Finalmente la sofferenza delle donne congolesi, spesso additate come bugiarde, è stata riconosciuta a livello internazionale. E l’ammissione del problema è il primo passo verso la sua risoluzione.

Denis Mukwege Nobel Pace 2018
Denis Mukwege nel cortile del suo ospedale nella Repubblica Democratica del Congo © Jean Chung/Getty Images

Promuoviamo la mascolinità positiva

Mukwege ha curato più di 50mila vittime di stupro all’interno dell’ospedale – il Panzi – che ha fondato nel suo paese natale, Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo. Abusate dai soldati durante le guerre civili o i conflitti che continuamente si scatenano per via delle risorse minerarie che la nazione possiede, queste donne sono riuscite a guarire soltanto grazie al modello olistico messo a punto dal medico, che punta a ricucire tanto le lacerazioni fisiche quanto le psicologiche.

Non ho dubbi che i congolesi saprebbero scavalcare le montagne se solo credessero fosse possibile. Hanno bisogno di sapere che un cambiamento è possibile.Dott. Denis Mukwege, Nobel per la Pace 2018

L’assegnazione di questo premio è un invito a non restare in silenzio. Finalmente “il fatto che la vergogna possa riversarsi sull’aggressore, anziché sulla vittima, è una rivoluzione che possiamo aspettarci di vedere nelle nostre società”. Ma non è l’unica. Anche il significato di mascolinità sta cambiando: come ha detto l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, “essere uomo non significa avere una decina di ragazze che ti twerkano intorno. Essere uomo significa prima di tutto, e soprattutto, essere umani”. Con le loro debolezze, le loro emozioni. Con il proprio bisogno d’amore, ma senza la necessità di mostrarsi superiori. Perché davvero superiore è chi, come Mukwege, fa di tutto perché siano gli altri ad eccellere.

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Denis Mukwege Nobel Pace 2018
Nadia Murad e Denis Mukwege ricevono il premio Nobel per la Pace 2018 © Erik Valestrand/Getty Images

Ci può dare una definizione di mascolinità positiva?
La mascolinità rappresenta qualcosa che acquisiamo nel corso della nostra educazione familiare, nelle nostre società dove si incoraggiano gli uomini, ad esempio, a non provare delle emozioni. Si incoraggiano gli uomini a essere molto forti. E penso che tutta questa costruzione della mascolinità – che è una mascolinità tossica, dominante sulle donne – di fatto faccia sì che la violenza sia quasi normale nelle società.

Credo che oggi, se vogliamo far sì che ci sia una mascolinità piuttosto positiva, debba trattarsi di una mascolinità che metta la donna al pari dell’uomo. Una mascolinità che accetti che gli uomini possono essere deboli, che anche gli uomini possono avere delle debolezze. Si tratta di una virilità che semplicemente accetta di essere all’interno dell’uguaglianza di genere, così possiamo far progredire la nostra società.

Cosa ha provato il giorno della consegna del premio Nobel a Oslo?
Quando ho ricevuto il premio Nobel, il sentimento è stato certamente di soddisfazione rispetto alla negazione che esiste nel nostro Paese da ormai vent’anni. Un Paese nel quale le donne soffrono terribilmente, senza che il loro dolore sia riconosciuto. Penso che questo riconoscimento internazionale della sofferenza delle donne congolesi per noi sia un elemento di soddisfazione, perché pensiamo che non si possa risolvere un problema se non lo si ammette. Quando non lo si fa, non lo si può risolvere.

E di qui il mio incontro con Nadia Murad, che già conoscevo prima… È una donna che mi ha impressionato molto, poiché ciò che oggi sostiene la violenza sessuale nelle nostre società è il silenzio. Perché quando le donne vengono stuprate, i loro stessi aguzzini le costringono a restare in silenzio, ricattandole. Penso che, a partire dal momento in cui le donne impareranno a rompere il silenzio, avremo un’arma enorme contro le violenze. E Nadia Murad c’è riuscita, in condizioni eccezionali. Lei viene dall’Iraq, dove lo stupro a volte può anche essere punito con la morte, ma ha avuto il coraggio di denunciare e credo che oggi siamo sulla buona strada: molte donne denunciano le violenze e penso che il fatto di ribaltare la vergogna, che la vergogna possa riversarsi sull’aggressore anziché sulla donna, rappresenti una rivoluzione che ci aspettiamo di poter osservare nelle nostre società.

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Nadia Murad è stata vittima di violenza sessuale durante la persecuzione degli Yazidi da parte dello Stato Islamico. Ha avuto il coraggio di testimoniare e per questo ha ricevuto il Nobel per la Pace 2018 insieme a Denis Mukwege, medico che nella Repubblica Democratica del Congo ha dedicato la vita alla cura delle vittime di stupro © Mark Wilson/Getty Images

Come fa a sopportare tutto il dolore che le sue pazienti condividono con lei ogni giorno?
È dura, molto dura perché penso che, come ho appena detto, se vogliamo mantenere la nostra umanità integra dobbiamo anche conservare le nostre emozioni. E penso che le giovani che incontro siano persone che spesso hanno perso la loro femminilità a causa delle ferite che sono state loro inflitte nel corso degli stupri. Quando arrivano all’età adulta non hanno più la loro femminilità, perché è stata completamente distrutta. E per una bambina che ha perso la propria infanzia e la propria femminilità è molto, molto difficile gestire il dolore. Però oggi noi abbiamo creato un modello olistico che non è solamente medico, ma nel quale c’è una presa in carico psicologica davvero importante. E sosteniamo queste donne affinché conquistino l’autonomia. Un’autonomia sociale, economica. E le accompagniamo di fronte ai tribunali, il che permette loro di ritrovare la dignità. Non è facile, ma queste ragazze tornano ad essere forti. E diventano anche degli elementi di cambiamento nella società.

Foto in apertura © Per-Anders Pettersson/Getty Images

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