Conversazione con Shaama Sandooyea, la prima attivista a scioperare sott’acqua per il clima

Intervista a Shaama Sandooyea, attivista e biologa delle Mauritius che ha scioperato per il clima sott’acqua. L’abbiamo raggiunta nel cuore dell’oceano Indiano.

Shaama Sandooyea è una giovane biologa marina e attivista delle Mauritius. È stata la prima a scioperare sott’acqua per il clima. Le foto di Sandooyea, immersa nel cuore dell’oceano Indiano, con in mano un cartello con il messaggio “Youth strike for climate”, “sciopero dei giovani per il clima”, hanno fatto in giro del mondo il 19 marzo, Giornata di azione per il clima. Shaama Sandooyea, una delle co-fondatrici di Friday for future Mauritius, si trova ora sulla nave Arctic sunrise di Greenpeace ed è impegnata in una spedizione di ricerca per studiare la biodiversità presso il Saya de Malha Bank, un sito chiave per la regolazione del clima. Qui ha sede una delle più vaste “praterie” di piante acquatiche al mondo che assorbono parte della CO2 presente in atmosfera.

Shaama Sandooyea
Shaama Sandooyea a bordo della Arctic Sunrise di Greenpeace prepara il cartello per lo sciopero. © Tommy Trenchard / Greenpeace

In questo momento si trova nel cuore dell’oceano Indiano. Può dirci a cosa sta lavorando?
Sì, mi sono unita a Greenpeace, sulla loro nave Arctic sunrise, e siamo in spedizione a Saya de Malha Bank. È proprio nel mezzo dell’oceano Indiano, tra le Seychelles e le Mauritius. E siamo qui principalmente per scoprire e conoscere la biodiversità, composta principalmente da “praterie” di piante acquatiche. L’area non è stata ancora totalmente esplorata, non ci sono molti rapporti sulla biodiversità locale. Si tratta dell’ecosistema di praterie di piante acquatiche più grande del mondo.

Avete fatto delle osservazioni importanti dal punto di vista della conservazione?
Abbiamo trovato molte specie di balene e delfini e abbiamo trovato una popolazione locale di capodogli. Il che è davvero sorprendente. E abbiamo trovato molte specie di uccelli marini e di pesci. Ma abbiamo anche visto lo sbiancamento di alcuni coralli in quest’area che è minacciata da fattori come l’aumento delle temperature, l’inquinamento e la pesca commerciale. Quindi, fondamentalmente, abbiamo trovato che quest’area è minacciata ma allo stesso tempo ha una ricca biodiversità.

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La nave Arctic Sunrise di Greenpeace nell’Oceano indiano. © Tommy Trenchard / Greenpeace

Lei è stata la prima a tenere uno sciopero subacqueo per il clima. Perché ha scelto di farlo sottacqua? Qual era il suo messaggio?
Siamo qui dall’inizio di marzo e sappiamo che in questa zona ci sono praterie di piante acquatiche ovunque. E sappiamo che queste catturano anidride carbonica (CO2) e gas serra 35 volte più velocemente delle foreste pluviali e tropicali. Inoltre accolgono vita [marina], tartarughe marine, delfini. Scioperare [per il clima] qui, per noi, è davvero importante perché manda il messaggio che il più importante serbatoio di carbonio del pianeta è l’oceano, l’ecosistema marino. E le praterie di piante acquatiche rappresentano il 10 per cento della capacità dell’oceano di immagazzinare CO2. È davvero sorprendente. E penso che stiamo sottovalutando l’ecosistema marino, specialmente le praterie, lo stiamo sottovalutando. Invece hanno bisogno di protezione, sono qui per aiutarci a combattere la crisi climatica ma, allo stesso tempo, sono minacciate da così tanti fattori. Quindi scioperare qui è un modo per me, come attivista per il clima, di chiedere azioni concrete per il clima e il modo migliore per farlo, per combattere la crisi climatica, è proteggere l’oceano, proteggere questi ecosistemi, queste vite che ci aiutano a combattere la crisi climatica.

Shaama Sandooyea
Shaama Sandooyea sciopera per il clima sott’acqua nell’Oceano indiano. © Tommy Trenchard / Greenpeace

Sappiamo che gli stati insulari sono sempre più vulnerabili agli effetti della crisi climatica e ovviamente dipendono molto dagli oceani. Qual è la sua esperienza come attivista e biologa marina proveniente da un’isola dell’oceano Indiano?
Sì, vengo dalle Mauritius, è una piccola isola nel mezzo dell’oceano Indiano e abbiamo molte altre isole intorno. Come biologa marina, so che gli oceani sono minacciati. Si stanno degradando molto rapidamente a causa dell’aumento delle temperature e del costante sovrasfruttamento delle risorse, a causa dell’inquinamento, a causa di tante minacce. Abbiamo visto che i coralli intorno al Mauritius hanno subìto uno sbiancamento – almeno il 70 per cento. E questi coralli, una volta subito lo sbiancamento, perdono il proprio ruolo ecologico. L’ecosistema passa da un sistema dominato dai coralli a uno dominato dalle alghe. Quindi, l’intero sistema subisce uno shift e questo è un male perché ha conseguenze sulle fonti di cibo. La seconda cosa che ho visto è che, per esempio, nell’oceano Indiano, poiché è un oceano circondato da terre, si riscalda molto rapidamente.

Nessun luogo è al sicuro dalla crisi climatica, ma l’oceano Indiano è minacciato anche dalle pratiche di pesca intensiva. E c’è troppa pressione sulle nostre comunità locali nelle Mauritius, Seychelles, Madagascar e altre visto che la loro principale fonte di proteine è il pesce. Quindi hanno bisogno di quel cibo. E stanno contribuendo a malapena alla crisi climatica, stanno contribuendo a malapena alla distruzione degli habitat naturali, ma stanno soffrendo per le azioni di altri. E come attivista per il clima, posso vedere come è ingiusto, come l’ingiustizia è più pronunciata nelle isole, specialmente nell’oceano Indiano… Quindi per me essere qui con Greenpeace e fare questo lavoro, poter valutare la biodiversità che è ancora presente nella Saya de Malha e scioperare per chiedere la tutela dell’oceano per chiedere azione per il clima, è una cosa importante perché questo è ciò che vogliamo. Gli attivisti vogliono la salvaguardia dell’oceano. Vogliamo aiuto, risorse per combattere le pratiche di pesca distruttive, per fermare la crisi climatica. Quindi, spero davvero che questo messaggio si diffonda.

Shaama Sandooyea
Shaama Sandooyea a bordo della Arctic Sunrise di Greenpeace. © Tommy Trenchard / Greenpeace

Le isole degli oceani Indiano e Pacifico stanno già vivendo gli effetti dellemergenza climatica, mentre il mondo occidentale spesso parla ancora della crisi climatica come se fosse qualcosa che accadrà solo nel futuro. Cosa ne pensa di questo?
Le isole dell’oceano Indiano affrontano le conseguenze in modo diverso dagli altri paesi perché l’oceano è davvero strettamente legato al clima. Quindi possiamo sentire il cambiamento molto rapidamente. Come ho detto, per prima cosa i coralli vivono in cattive condizioni. In secondo luogo, abbiamo avuto problemi con le risorse di acqua dolce. I modelli climatici prevedono che avremo stagioni secche più lunghe. E questo è quello che sta [già] accadendo. L’abbiamo vissuto negli ultimi mesi. In Madagascar non ha piovuto nel sud, quindi non hanno avuto acqua per i raccolti. Nelle Mauritius – la stessa cosa.

Tante persone nelle comunità e nelle regioni vulnerabili non hanno avuto risorse d’acqua dolce e senza acqua anche i nostri raccolti ne hanno risentito. Poi abbiamo avuto ondate di calore. La temperatura continua a salire e si sta mettendo male perché ogni giorno diventa più difficile per noi. Diventa più difficile per i pescatori, per gli agricoltori, per i loro raccolti, per il nostro cibo. Tutto sta accadendo così rapidamente nell’isola. I cambiamenti sono così rapidi. E anche il fatto che l’oceano si riscalda così velocemente, che la formazione delle nuvole diventa immediata e quando inizia a piovere sulle isole, possiamo avere inondazioni e frane. Queste sono cose che stiamo affrontando ora. Sta diventando la nuova normalità. Ma non va bene che siamo noi a dover affrontare così tanti problemi quando contribuiamo a malapena ai cambiamenti climatici.

Lanno scorso ad agosto, come saprà meglio di chiunque altro, si è verificata una fuoriuscita di petrolio al largo delle Mauritius. Come si è sentita in quel momento? Quali sono state le conseguenze della fuoriuscita di petrolio per l’isola e qual è la situazione ora?
La [nave] Wakashio si è bloccata alle Mauritius alla fine di luglio, ma il petrolio ha iniziato a fuoriuscire in agosto. Quindi per 12 giorni la nave è rimasta sulla barriera corallina finché il petrolio non si è riversato. È stato davvero devastante perché è da qualche anno che chiediamo la protezione delle nostre lagune, la protezione delle nostre acque e chiediamo azioni contro la crisi climatica. E quella zona delle Mauritius è davvero ricca di biodiversità. Abbiamo una piccola isola dove ci sono piante e animali endemici, che è stata nella linea diretta del petrolio. C’era anche un parco marino e una riserva di pesca. Quindi quell’area è particolarmente ricca. I coralli lì erano addirittura in fase di recupero. Era incredibile. Quindi, vedere il petrolio nell’acqua e nella linea costiera e arrivare alle mangrovie è stato davvero devastante perché abbiamo lottato così tanto per l’ambiente. Quando siamo arrivati lì [nell’area dove il petrolio si era riversato] il petrolio era così forte che abbiamo avuto delle irritazioni cutanee. Abbiamo iniziato a tossire e a presentare alcuni sintomi in termini di salute. Ed è stata solo un’esposizione breve, forse dalle quattro alle otto ore.

E da allora, i pescatori locali, gli skipper, i centri di immersione – tutti coloro che dipendono dall’oceano in quella zona – sono in una brutta situazione sociale ed economica perché non possono più trarre il loro sostentamento dall’oceano. E questo è molto difficile quando hai una famiglia da sfamare. Il petrolio ha anche colpito le mangrovie, hanno iniziato a perdere le foglie… Il governo ha prelevato dei campioni per analizzare la qualità dell’acqua e come la fuoriuscita di petrolio ha influenzato i pesci, i coralli… ma non ha ancora reso pubblici i risultati. Quindi non sappiamo esattamente fino a che punto [la fuoriuscita] ha colpito gli ecosistemi. C’era anche una organizzazione non governativa chiamata Ecosud che lavorava con le comunità locali cercando di dare loro assistenza sanitaria e sostegno psicologico perché i pescatori erano davvero depressi. Prima della fuoriuscita di petrolio c’era stato un lockdown e non potevano andare a pescare. Questo è stato molto doloroso per loro. E queste persone hanno anche iniziato a sviluppare problemi respiratori, problemi dermatologici ed emicranie. È brutto. È ancora qui. Forse il petrolio non è più presente nell’acqua, ma è ancora nel suolo, è ancora nelle mangrovie ed è ancora presente per la gente, per la comunità locale.

Secondo lei chi non sta facendo abbastanza per lottare contro l’emergenza climatica?
Penso che siano i leader mondiali e le aziende private, le grandi corporazioni. Non stanno facendo nulla e stanno assolutamente contribuendo alla crisi climatica. Sono loro che possono prendere una decisione, una decisione responsabile che può cambiare la vita di tante persone e che può garantirci un futuro migliore. Ma non lo stanno facendo perché ovviamente ci sono le lobby e hanno dei profitti. Ma il profitto non dovrebbe andare prima delle persone, l’economia non dovrebbe andare prima dell’ambiente perché questo è il pianeta e il pianeta significa vita.

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