La Statale di Milano diventa fucina di arte contemporanea

In un’epoca non poi così lontana avanguardie e fermenti innovativi o rivoluzionari di qualunque genere trovavano proprio nelle università il loro naturale centro di incubazione ed irradiazione. Oggi che in molti atenei italiani rischia di prevalere il torpore un po’ polveroso dell’esamificio, un’iniziativa come quella intrapresa dall’Università Statale di Milano sopraggiunge a ravvivare almeno in

In un’epoca non poi così lontana avanguardie e fermenti innovativi o rivoluzionari di qualunque genere trovavano proprio nelle università il loro naturale centro di incubazione ed irradiazione. Oggi che in molti atenei italiani rischia di prevalere il torpore un po’ polveroso dell’esamificio, un’iniziativa come quella intrapresa dall’Università Statale di Milano sopraggiunge a ravvivare almeno in parte il panorama dei rapporti tra mondo accademico e attualità culturale e sociale del capoluogo lombardo, avvalendosi di uno degli strumenti più “sovversivi” e spiazzanti per antonomasia, ovvero dell’arte contemporanea. La Statale Arte è infatti un progetto triennale che prevede il susseguirsi di una serie di mostre personali di artisti italiani e stranieri viventi, ciascuno dei quali si impegna, al termine della rispettiva esposizione, a donare all’università una propria opera, al fine di costituire nel tempo un museo o parco di sculture ospitato nella Ca’ Granda.

 

Il cortile principale della Ca' Granda
Il cortile principale della Ca’ Granda con l’installazione “Tasnerku + 1” (Dodici + 1) di Mikayel Ohanjanyan

 

 

Ad evidenziare plasticamente il dialogo fra tradizione e innovazione, tra storia e contemporaneità, è il contesto d’eccezione in cui le opere vengono collocate, ovvero l’ampio cortile centrale al quale si accede dall’ingresso principale, edificato in stile barocco dall’architetto Francesco Maria Richini, che, optando per una pianta quadrata di dimensioni quasi doppie rispetto a quelle inizialmente previste, derogò all’originario progetto rettangolare dell’architetto toscano Filarete, artefice dell’impianto rinascimentale dell’allora Ospedale Maggiore, commissionatogli quasi due secoli prima (nel 1456) dal duca di Milano Francesco Sforza.

 

Proprio per dialogare con tale suggestiva ambientazione, molti dei lavori esposti nell’ambito del ciclo di Statale Arte, curato da Donatella Volonté, saranno “site-specific” cioè espressamente concepiti in funzione del luogo che li accoglie. La prima mostra della rassegna –visitabile fino al 19 marzo con la possibilità di avvalersi il venerdì o il sabato di visite condotte da studenti universitari– è stata affidata all’artista armeno Mikayel Ohanjanyan, già protagonista del padiglione nazionale insignito del Leone d’Oro durante la scorsa Biennale veneziana.

 

Mikayel Ohanjanyan all'opera (foto di Nicola Gnesi)
Mikayel Ohanjanyan all’opera (foto di Nicola Gnesi)

 

Le sue due installazioni appaiono in connessione tematica tra loro: quella situata sul prato del cortile consta di un insieme di 13 sculture (in basalto, acciaio corten e cavi d’acciaio) dal titolo “Tasnerku + 1” (Dodici + 1), riferimento al sito archeologico armeno delle cosiddette “pietre parlanti” ma soprattutto allegoria di una partitura musicale e dunque omaggio alla numerologia e alla tradizione medievale che identificava nella musica, in quanto sintesi di matematica, filosofia e mistica, la più nobile delle discipline universitarie; l’opera collocata nel loggiato superiore (denominata “Dur”) è costituita invece da un doppio blocco cubico tenuto in equilibrio da un meccanismo di trazione tra forze contrapposte. E non è un caso che entrambi i lavori appartengano ad un unico evento espositivo che reca l’eloquente titolo di “Durk”, cioè “porte”, a voler sottolineare la vocazione precipua dell’università come luogo di accesso alla conoscenza e al sapere.

 

Illuminazione notturna di "Durk" (foto di Valentino Albini)
Illuminazione notturna di “Durk” (foto di Valentino Albini)

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