
Sono passati cinque anni dall’approvazione dell’Accordo di Parigi. Il bilancio dell’azione climatica da parte dei governi è fatto di luci e ombre.
Correva l’anno 1992 quando il mondo ha iniziato a trattare il riscaldamento globale come una cosa seria. Questo racconto fa il punto sulla storia delle conferenze delle parti (Cop), senza dimenticare chi non ha mai perso la speranza di far cambiare idea anche a chi nega i cambiamenti climatici.
Ultimo aggiornamento: 22 aprile 2020
I cambiamenti climatici sembrano un argomento noioso, distante dalle persone e soprattutto difficile da capire. Troppo tecnico per essere spiegato nelle scuole, figuriamoci per entrare a far parte delle agende politiche dei governi nazionali. E poi la comunità scientifica non è unita nel definire le cause e gli effetti del riscaldamento globale.
Leggendo questa serie di falsità è difficile trattenere le risate per quanto sono assurde. O, al contrario, risentirsi (nel caso foste caratteri particolarmente sensibili). Eppure sono alcuni dei luoghi comuni su cui si sono fondate – e si fondano tuttora – le bizzarre tesi di coloro che in un quarto di secolo, da quando è nata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel 1992, hanno cercato di emarginare o di screditare una delle minacce e delle sfide più importanti del secolo che stiamo vivendo. Per usare le parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama: “I cambiamenti climatici sono una minaccia esistenziale per il mondo intero se non si fa niente a riguardo”.
Nel momento in cui sembravano lontani gli anni in cui l’allora presidente George W. Bush (2001) decideva di ribaltare la decisione della precedente amministrazione (1998) guidata da Bill Clinton e dal vicepresidente Al Gore (che poi ha fatto dei cambiamenti climatici la sua vita, al punto da vincere un Oscar e un Nobel) uscendo e ammazzando di fatto il Protocollo di Kyoto, il primo documento internazionale che ha imposto un obbligo di riduzione delle emissioni di CO2 ai paesi più ricchi e più responsabili, ecco che la storia si ripete mettendo in scena un copione già visto. L’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump, infatti, sta facendo carte false (è proprio il caso di dirlo) per ribaltare e ridicolizzare l’Accordo di Parigi firmato dall’intera comunità internazionale nel 2015 ed entrato in vigore l’anno successivo. È il primo trattato globale che ha visto tutti i paesi – industrializzati e in via di sviluppo – finalmente uniti per far fronte comune contro l’aumento della temperatura media globale e limitarlo ben al di sotto dei due gradi centigradi.
Non sembra un caso se persino l’attore nonché attivista ambientale Leonardo DiCaprio ha deciso di alzare la voce per chiedere più “Azione!” per contrastare la nuova politica negazionista messa in atto da Trump (2017). E non stiamo parlando dell’inizio delle riprese di una scena di un film – anche se DiCaprio ha fatto pure quello con il documentario Before the flood (Punto di non ritorno) – ma della volontà di fare qualcosa in prima persona, come ha dimostrato scendendo per le strade di Washington fianco a fianco, mano nella mano, insieme ai nativi americani le cui terre sono minacciate da attività di sfruttamento della terra, come il fracking (la fratturazione idraulica), alla ricerca di quei “sporchi, brutti e cattivi” combustibili fossili. Ma, come in tutte le storie che si rispettino, per capirne di più bisogna fare un passo indietro e sapere come si è arrivati a questo punto. Una decisione tutt’altro che simbolica visto che gli stati isola stanno sparendo, sommersi dagli oceani per l’innalzamento del livello dei mari causato dall’aumento delle temperature medie globali che fa sciogliere i poli.
Rio de Janeiro, Brasile, 1992. La storia delle Cop (Conference of the parties), le conferenze sul clima dei paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations framework convention on climate change o Unfccc) parte da qui. Sono gli anni Novanta e la discussione su come limitare le emissioni di gas ad effetto serra (il più comune è la CO2) si fa subito accesa con una netta divisione tra paesi industrializzati (i maggiori responsabili delle emissioni nel corso degli anni) e paesi in via di sviluppo, quelli che soffrono di più le conseguenze del riscaldamento globale. Anche se oggi, alcuni di questi sono diventati anche responsabili di una larga fetta delle emissioni correnti. Parliamo di Cina, India e Brasile.
L’11 dicembre 1997, nel corso della terza conferenza sul clima (Cop 3), viene adottato il Protocollo di Kyoto alla Convenzione. Per la prima volta viene imposto un obbligo di riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera ai paesi più ricchi e più responsabili. La riduzione globale media deve essere pari al 5 per cento entro il periodo 2008-2012, rispetto ai livelli che si sono registrati del 1990.
Il 16 febbraio 2005, sette anni dopo la firma, il Protocollo entra in vigore grazie alla ratifica della Russia, fondamentale dopo l’addio degli Stati Uniti.
Bali, Indonesia, inverno 2007. Durante la Cop 13 prende vita un piano d’azione finalizzato a raggiungere un accordo globale. Il suo scopo avrebbe dovuto comprendere un aumento degli obblighi di riduzione della CO2 dei paesi ricchi e l’inclusione delle economie emergenti (come Cina, India e Brasile), finora senza alcun vincolo perché considerate in via di sviluppo, per bloccare la crescita esponenziale delle loro emissioni, stabilizzandole. Secondo le previsioni, il nuovo trattato avrebbe dovuto essere adottato alla Cop 15 di Copenaghen, in Danimarca.
Ecco spiegato il motivo per cui l’attenzione riservata dai mezzi d’informazione di tutto il mondo alla conferenza (Cop 15) del 2009 è stata altissima. Peccato che l’esito sia stato pessimo, quasi tragico. Un mero accordo politico senza alcun vincolo o obiettivo concreto che aveva come unico passaggio degno di nota: “the increase in global temperature should be below 2 degrees Celsius, on the basis of equity and in the context of sustainable development”, ovvero contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi.
Cosa succede nei sette anni successivi? Poco o nulla. La Cop 17 del 2011 ci riprova, fissando al 2015 la nuova data di scadenza per l’adozione di un accordo globale per la riduzione della CO2 che sostituisca e migliori il Protocollo di Kyoto, ormai consegnato ai libri di storia, nonostante venga (alla Cop 18 di Doha, 2012) prolungato al 2020 solo per non creare un vuoto, nel rispetto di tutti quei governi che si stanno impegnando seriamente, come l’Unione europea. Perché il 2020? Perché è la data in cui i delegati sperano che entri in vigore il futuro accordo.
Il fatto più rilevante, invece, è la creazione del Green climate fund (Fondo verde per il clima) che ha come obiettivo quello di sostenere economicamente i paesi in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti del clima attraverso progetti e piani nazionali di medio periodo. Il fondo avrebbe dovuto garantire 100 miliardi di dollari (circa 91 miliardi di euro) l’anno fino al 2020. L’Unione europea è oggi il maggior finanziatore del fondo con 14,5 miliardi di euro già erogati al 2014.
Il 2015, finalmente. Dal 30 novembre all’11 dicembre si tiene la Cop 21. La conferenza sul clima di Parigi, in Francia, dà vita a un accordo globale effettivamente storico per contrastare i cambiamenti climatici. 196 paesi, quasi la totalità della comunità internazionale, hanno deciso di impegnarsi per mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, dopo aver fornito promesse volontarie di riduzione che, però, non sono ancora sufficienti per rispettare la mission. Ora, dunque, è il tempo dell’azione. L’Accordo di Parigi è entrato ufficialmente in vigore il 4 novembre 2016, la nuova data che viene celebrata ogni anno da coloro che vogliono garantire un futuro alle generazioni che verranno.
La ventitreesima Cop si è tenuta a Bonn, in Germania, sotto la presidenza delle isole Figi. Il clima che si è respirato è stato di dialogo misto a speranza. A Bonn si è tentato di proseguire con l’attuazione e il miglioramento delle promesse di riduzione della CO2. Un percorso per nulla semplice, ma di fatto inarrestabile visto che chi, giorno dopo giorno, si scontra con la realtà sta agendo per cambiare le cose e dare un’opportunità alle popolazioni in pericolo. Dalle città alle imprese locali, dal terzo settore alle multinazionali.
Nel 2019 è la volta di Madrid e della Cop 25. Una conferenza che si sarebbe dovuta tenere a Santiago del Cile ma che, a poche settimane dal suo svolgimento, è stata annullata e ospitata per gentile concessione dalla Spagna per via delle proteste fiume in corso nel paese sudamericano. Proteste tanto legittime quanto violente che non hanno consentito alle Nazioni Unite di proseguire con il programma. In ogni caso la Cop 25 ha lasciato un vuoto che si potrà colmare soltanto attraverso uno slancio da parte della politica. Le elezioni che si terranno negli Stati Uniti a novembre saranno, in questo senso, cruciali per il mondo intero, affinché l’Accordo di Parigi non rimanga lettera morta.
Prossima tappa: Glasgow, Regno Unito, per la Cop 26. Se la Cop 25 è stata movimentata, cosa dire di quella che si sarebbe dovuta tenere quest’anno è che è stata posticipata al 2021 per via della pandemia da coronavirus? Per ora non ci rimane che citare le parole del ministro dell’Ambiente italiano Sergio Costa e del presidente britannico della Cop 26 Alok Sharma: “Il tempo da qui alla Cop 26 è cruciale. Non appena usciremo dalla crisi della Covid-19, dovremo continuare a sfruttare la collaborazione e l’adesione alla scienza che abbiamo sperimentato nella pandemia per combattere il cambiamento climatico. Per il bene delle persone, delle future generazioni e del pianeta”.
In occasione dei 50 anni di Earth day, il Cmcc (Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici) ha realizzato una timeline delle conferenze sul clima, pubblicata sul sito Foresight.
Sono passati cinque anni dall’approvazione dell’Accordo di Parigi. Il bilancio dell’azione climatica da parte dei governi è fatto di luci e ombre.
In attesa della vera Cop che si terrà a Glasgow nel 2021, i giovani attivisti britannici organizzano una conferenza online, la Mock Cop 26.
Il Regno Unito ha proposto e ottenuto di rinviare ulteriormente la Cop 26 al mese di novembre del 2021. Le ong: “Ma l’azione climatica non deve arrestarsi”.
A causa dell’epidemia di coronavirus, la Cop 26 non si terrà a novembre di quest’anno ma nel 2021.
La ventiseiesima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (Cop 26) si terrà a Glasgow a novembre. L’Italia organizzerà la pre-Cop a Milano.
Come una sirena d’allarme, gli attivisti hanno portato la voce del mondo dentro la Cop 25 di Madrid. I risultati dai governi del mondo non sono arrivati, ma le loro grida e messaggi più forti che mai, anche per chi non c’era.
La Cop 25 si è conclusa con due giorni di ritardo. Con pochissimi passi avanti e la prospettiva di un 2020 in salita. A mancare, ancora una volta, è la volontà politica.
La Cop 25 si avvia lentamente verso il fallimento. L’ambizione sperata, urlata, implorata non si è vista. Così entriamo nel decennio decisivo.
Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa è alla Cop 25 di Madrid per porre le basi del decennio per il clima. A cominciare dalla Pre cop di ottobre 2020 che si terrà a Milano.