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Lo Special report (Sr15) dell’Ippc sul clima, frutto dell’analisi di oltre 5mila studi, sarà pubblicato l’8 ottobre 2018. Ma trapelano i primi contenuti.
Per salvare il Pianeta dalla catastrofe climatica occorre diminuire drasticamente l’utilizzo di combustibili fossili e attuare una rapida transizione verso modelli economici basati sulle fonti di energia rinnovabili. Se lo si farà, il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla comunità internazionale in materia di limitazione del riscaldamento dell’atmosfera terrestre sono ancora raggiungibili. A patto che un quantitativo adeguato di risorse venga investito rapidamente, al fine di garantire una forte accelerazione del processo di abbandono di petrolio, gas e carbone. È questo il messaggio principale dello Special report 15 (Sr15) che sarà pubblicato l’8 ottobre del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), ma del quale alcuni contenuti sono già stati rivelati dall’agenzia Afp nella serata di venerdì 5 e rilanciati da Radio Canada.
Per gli esperti, riuniti assieme ai rappresentanti dei governi in Corea del Sud dal 1 ottobre, la traiettoria attuale ci porterà a mancare clamorosamente gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. In particolare, secondo le informazioni trapelate sulla stampa internazionale già prima della pubblicazione del rapporto, la temperatura media terrestre potrebbe crescere di 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali già tra il 2030 e il 2052 (secondo i differenti scenari presi in considerazione). Per scongiurare tale prospettiva, l’unica via è modificare radicalmente il nostro modo di produrre energia. Innanzitutto abbandonando il carbone. Ciò dovrà tradursi in un taglio delle emissioni del 40 per cento entro il 2030. Altrimenti, tutti gli sforzi saranno vani.
Climat : la barre du 1,5 °C pourrait être franchie dès 2030, selon le GIEC https://t.co/Ob0Y1szMF0
— Joëlle Azar (@Joellinaa) 6 ottobre 2018
È proprio su questo punto che i negoziati alla riunione dell’IPCC tenuta in Corea del Sud si sarebbero arenati più volte. L’Afp indica che Polonia, Australia e Giappone si sarebbero opposti fermamente al dito puntato contro il combustibile fossile. Mentre l’Arabia Saudita, paese produttori di petrolio, si sarebbe scagliato contro gli studi scientifici alla base delle valutazioni dell’Ipcc, giudicandoli “non certi”.
New IPCC report will lay out the hard truth on #climatechange: ► Current policies have world on track for 3.1-3.7°C rise ► Paris pledges would result in 2.6-3.2°C rise ► 1.5°C “demands cutting the planet’s emissions 40 percent by 2030” Full story: https://t.co/4bSB8PUWsb pic.twitter.com/D2PcYmswHr — Paris Marx (@parismarx) 5 ottobre 2018
La richiesta all’Ipcc di stendere uno Special report arrivò nel dicembre 2015, quando era in corso la Cop 21 (Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite) che portò all’approvazione dell’Accordo di Parigi. “Questo decennio è quello del bivio. Tutto dipenderà dalle decisioni collettive e individuali che prenderemo a breve termine, non in un futuro lontano”, ha spiegato alla stampa internazionale la climatologa e presidente del gruppo di lavoro numero uno dell’Ipcc (sugli Studi dei principi fisici del clima), Valerie Masson-Delmotte. Il rapporto speciale arriva in concomitanza con i festeggiamenti dell’Ipcc per i suoi trent’anni di attività. Ma si tratta, soprattutto, di un passaggio fondamentale nel percorso che porterà alla pubblicazione del Sesto Rapporto di valutazione, denominato Ar6, che dovrebbe avvenire nel 2022. Esso rappresenterà il nuovo documento di riferimento per tutti coloro che, a vario titolo, lottano contro i cambiamenti climatici.
Il rischio concreto, anche alla luce di quanto contenuto nello Special report 15, è che la traiettoria che il mondo mostrerà di aver seguito, di qui al 2022 non sarà sufficiente. D’altra parte, già nel novembre del 2017, a pochi giorni dall’avvio della Cop 23 di Bonn, il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente aveva lanciato un allarme: tra le promesse avanzate dai governi per la riduzione delle emissioni di CO2 e quanto necessario per centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi “esiste ancora una distanza catastrofica”.
The #IPCC Special Report on #GlobalWarming of 1.5°C #SR15 has been approved! Kudos to all involved, incl working group co-chairs, more than 90 authors and editors who reviewed more than 6000 papers and 42,000 comments. Full details at press conference Monday at 10 am KST. pic.twitter.com/QkHvp9RaRD
— WMO | OMM (@WMO) 6 ottobre 2018
L’intesa raggiunta nella capitale francese nel 2015, infatti, prevede che il mondo intero si adoperi per limitare la crescita della temperatura media globale, di qui al 2100, ad un massimo di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Cercando di rimanere il più possibile vicini agli 1,5 gradi. Si tratta di valori-limite, dal momento che, se saranno superati, gli sconvolgimenti climatici, ambientali e meteorologici diventeranno catastrofici, soprattutto per alcune nazioni più vulnerabili.
To keep warming to 1.5 deg C, the power sector will need to consume just a third of the coal they burn now by 2030. @ipcc_ch https://t.co/jeqJxXVGRQ via @business — Michael Ian Westphal (@PeaceWestphalia) 2 ottobre 2018
Per questo ai governi, prima del raggiungimento dell’Accordo di Parigi, fu chiesto di indicare – nero su bianco – quali politiche intendano adottare per limitare le emissioni di gas ad effetto serra: esse sono contenute negli “Indc”, Intended Nationally Determined Contributions. Il problema è che, già all’epoca, i calcoli indicavano che tali promesse non consentiranno di rimanere al di sotto dei 2 gradi. Fonti istituzionali parlavano un trend che porterebbe a +2,7 gradi; ancor più pessimiste alcune organizzazioni non governative, secondo le quali si potrebbero raggiungere i +3,5 gradi.
Rimanere entro gli 1,5 gradi centigradi consentirebbe di ridurre significativamente i rischi. Non soltanto rispetto alla traiettoria attuale, ma anche rispetto all’ipotesi di +2 gradi. Il rapporto Sr15 è il frutto della valutazione di circa cinquemila studi scientifici sul tema, che sono stati scelti per la loro attendibilità, quindi verificati e valutati in modo ponderato (a ciascuno è stato attribuito un “peso” specifico).
Per comprendere la quantità di lavoro svolto, basti pensare che la prima bozza dello Special report ha ricevuto 13mila commenti da parte di 489 scienziati; la seconda versione 25.590 commenti, con il numero di esperti coinvolti salito a 570. Mentre il riassunto per i dirigenti politici – ovvero il documento approvato in Corea del Sud – è stato oggetto di 3.600 osservazioni. L’intera mole di commenti e note è stata valutata da una task force di 86 scienziati provenienti da 39 paesi, selezionati in un gruppo di 570 super-esperti.
Criticare dunque la rigorosità del metodo di lavoro (anche per i “climato-scettici” sauditi) è difficile. Per questo, alla Cop 23 di Bonn, presieduta dalle Isole Fiji, nel 2017 è stato lanciato il “Dialogo di Talanoa”, che dovrebbe portare ad una revisione degli Indc. “Il nostro messaggio – ha concluso Masson-Delmotte – non è che siamo ormai troppo in ritardo per agire. Ma che occorre accelerare gli sforzi, oggi ancora balbuzienti, per restare in linea con gli 1,5 gradi. Basti pensare che, anche con una temperatura stabilizzata, il livello dei mari continuerà inesorabilmente a crescere, costringendo milioni di persone a migrare”.
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