
Uno studio di Ipes-Food rivela fino a che punto la produzione di generi alimentari sia legata ancora ai combustibili fossili.
Una delle emergenze più gravi della nostra epoca è la sicurezza alimentare. Si calcola che quasi 800 milioni di persone al mondo soffrano la fame. La FAO si riunisce per fare il punto sul Piano d’Azione del 1996.
Nel novembre del 1996, durante un Vertice Mondiale
sull’Alimentazione, centottantasei Paesi si impegnarono a dimezzare
entro il 2015 il numero degli affamati nel mondo, circa 800 milioni
di persone.
Cinque anni dopo la FAO si appresta a riunirsi nuovamente per
affrontare il medesimo problema, in un incontro dal titolo “Vertice
Mondiale sull’Alimentazione: cinque anni dopo”. Con questo vertice
la FAO intende fare il punto sull’attuazione del Piano d’Azione
stilato nel ’96, con una importante novità: a meno di sforzi
addizionali per accelerare il cammino della lotta contro la fame,
questo obiettivo non potrà essere raggiunto prima del 2030,
ossia con un ritardo di quindici anni.
Nonostante queste premesse il dibattito riportato dai mass-media si
è incentrato esclusivamente su dove svolgere questa
conferenza, mentre pochissimo, se non a, è stato detto su
quale sarà l’impegno che si assumeranno le grandi economie
mondiali per cercare di cancellare questa piaga.
Le difficoltà da affrontare sono molte, tra queste: perdita
di fertilità dei terreni, carenza di acqua, incremento della
popolazione, mutamenti climatici evidenziati da prolungati periodi
di siccità e dall’aumento di inondazioni.
Tutto ciò impedisce un concreto sviluppo rurale nei paesi
poveri.
Tuttavia è necessario non dimenticare che se esistono luoghi
della terra dove l’emergenza alimentare (scarsità di cibo)
è il primo problema da risolvere, è altrettanto vero
che esistono popolazioni che vivono in surplus alimentare. La
distribuzione delle risorse agricole è, a oggi, tutt’altro
che equa.
Un solo esempio: più della metà della produzione
cerealicola mondiale è destinata all’alimentazione animale.
Il ritorno in termini energetici riduce almeno dell’80% la
disponibilità di proteine destinate all’alimentazione.
Questa scelta, che soddisfa le esigenze alimentari della
popolazione ricca del nostro pianeta, sottrae una quantità
di cereali capace di soddisfare le esigenze alimentari di oltre due
miliardi di esseri umani.
È evidente dunque come il nostro stile di vita, e il nostro
modello di società dei consumi, siano possibili solamente
sottraendo risorse ad altre persone.
Tentare di appianare queste disuguaglianze, modificando il nostro
stile di vita, in fondo non è nient’altro che una questione
di rispetto e di civiltà.
E forse anche le recenti catastrofi indicano come, in fondo, il
vero ostacolo a una conciliazione stia proprio in una
contrapposizione fra civiltà.
Gabriele Garbillo
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