
Troppe generalizzazioni, troppo spazio a guerre e povertà, poco ad ambiente e cultura e alle voci vere: lo dice il rapporto di Amref e Osservatorio Pavia.
Sui video di tutto il mondo, sui giornali italiani di oggi, immagini scioccanti che hanno il terribile potere di scatenare gli istinti più bassi.
Difficile. Molto difficile avere le idee chiare in un momento
critico come questo che è sicuramente cruciale per quelli
che saranno i rapporti internazionali dei prossimi anni, se non
addirittura decenni. Se ci si lascia prendere dal gioco del bianco
e del nero, del buono e del cattivo, entrambi i fronti avranno una
buona riserva di bombe da scagliarsi reciprocamente: uno tortura e
l’altro decapita; uno sfrutta silenziosamente, l’altro si fa
esplodere fragorosamente; uno invoca – anche strumentalizzandola –
la democrazia come motivo sufficiente por depredare e l’altro
invoca Dio – strumentalizzandolo – come motivo sufficiente per
massacrare chi non lo onora con lo stesso nome.
E’ una storia antica, questa, che guerra dopo guerre, litigio dopo
litigio, dovremmo avere già imparato, ma la vita umana
è breve e la memoria storica, acquisita a scuola, non
è sufficiente per ricordare che non è così che
si risolvono i conflitti, nèi più piccoli, né
i più grandi.
“La realtà non esiste, dipende dal punto di vista da cui
la guardiamo” è una verità che è sconosciuta
al di fuori della schiera degli epistemologi (gli studiosi delle
modalità con cui l’uomo percepisce ed elabora la
conoscenza). Eppure è una verità che in molte scuole
e famiglie viene insegnata con pazienza aiutando un bambino a
capire che quando ha strappato il disegno della sorellina l’ha
ferita in profondità anche se a lui sembrava solo uno
scarabocchio, e che quindi la reazione violenta che lei ha avuto
è stata la conseguenza della mancanza di rispetto non
dell’azione in sé.
Sembra un esempio inadeguato, nel suo candore, rispetto ai colpi
di una profonda violenza etica, visiva e viscerale che si stanno
scambiando in questi giorni sui media di tutto il mondo e, oggi in
particolare, su quelli italiani. Uomini fatti mangiare dai cani o
ministri di culto dileggiati davanti ai loro fedeli (fermo restando
che è stato anche di peggio), possono sembrare poca cosa
all’occhio distratto, ma rappresentano un affronto atroce e
imperdonabile per la dignità umana, e si sono tradotti
immediatamente in una risposta altrettanto scioccante per noi
occidentali: una decapitazione di un soldato americano documentata
fotograficamente dal vivo, lo scempio sui cadaveri di soldati
israeliani presentato come trofeo con il Corano in mano, come fosse
un vessillo di guerra.
Queste , infatti, le incommentabili immagini su un quotidiano
italiano di grande diffusione. Queste alcune istantanee di un
conflitto antico quanto l’uomo, probabilmente ancor prima dei tempi
di Caino e Abele, se proprio non vogliamo credere che il mondo
è nato solo poco più di 6000 anni fa.
E’ proprio questo il problema, che l’uomo è nato molto
più di 6000 anni fa, 100.000, 200.000 dicono gli scienziati,
a seconda del punto da cui si vuol far partire l’Homo Sapiens, la
civiltà così come la conosciamo, è la punta
della punta della punta dell’iceberg di una storia che è
uscita dalla preistoria pochi secondi fa. Siamo civili, colti,
democratici ed equosolidali, ma fino a pochi secondi fa ci
nascondevamo dietro le rocce per sfuggire alle tigri dai denti a
sciabola e tagliavamo le orecchie dei membri della tribù
vicina che osavano avventurarsi nel nostro territorio di
caccia.
E quando vediamo il sangue, il sesso, la violenza sono
meccanismi antichi quelli che entrano in gioco, la risposta
è istintiva, violenta, viscerale. Lo sa bene la
pubblicità, che vende anche le mentine con due tette in
primo piano… ma se il sesso è innocuo, quando si passa al
corpo fisico torturato e alla testa decapitata l’effetto è
devastante: diventa una coltura a ritmo accelerato di odio. Un odio
cieco che non sa e non può sentire ragioni, perché
attinge a una memoria collettiva formatosi in centinaia di migliaia
di anni, di dolore, di soprusi, di lotta per la sopravvivenza.
E’ questo che vogliamo?
Istigare un odio irrazionale come quando si raccontava ai
contadini polacchi che gli ebrei sacrificano i bambini cristiani
per cuocere il pane azzimo della Pasqua e incitarli così ai
pogrom, i massacri di massa, o si raccontava alle delicate
signorine degli stati del Sud degli USA che i negri non hanno anima
e quindi potevano essere usati come animali? Vogliamo gettare
benzina sul fuoco e far passare ancora qualche secolo o millennio
prima di meritarci l’appellativo di Homo sapiens?
Cosa fare allora? Come reagire allora? E’ questa la questione,
che non si tratta di “reagire”, ma di “agire”, contrastando i
meccanismi ancestrali e imponendo una modalità “adulta” – si
dice in psicologia – per affrontare il conflitto con la stessa
logica che si adotta nello spiegare al bambino perché per
una stupidata come quella dell’aver stracciato uno scarabocchio,
gli è stato rotto il naso in risposta: comprendere il punto
di vista dell’altro. Con questo non si vuole paragonare un naso
rotto a una decapitazione, ma il meccanismo che ha creato la
situazione è lo stesso.
E bisogna fare ancora di più: comprendere che
“c’è” l’altro, che è anche lui una persona, che ha
anche lui una sensibilità, degli affetti, degli interessi,
dei valori. Riconoscere la sua dignità di essere umano,
riconoscerlo come interlocutore. E’ solo la capacità di
provare empatia, di aprirsi all’altro con rispetto e
disponibilità all’ascolto che può curare ferite, che
può dare svolte a conflitti anche internazionale.
Lo ha spiegato in modo magistrale Jacopo Fo nel suo ultimo Cacao
della domenica, parlando dell’adenia, l’incapacità di
sentire l’altro come effettivamente reale: l’aguzzino soffre un
tormento interiore feroce che lo rende insensibile all’esterno,
perché ha ucciso dentro di sé tutti i ricettori del
piacere, vive in un sarcofago di pietra.
E’ un discorso lungo, non è con poche righe che si
può affrontare, ma è questa la direzione da esplorare
e coltivare.
Ancor di più in un momento in cui alcuni media fanno
terrorismo psicologico e sfruttano immagini scottanti, nel migliore
dei casi, per fare soldi, nel peggiore, per seminare odio
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