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Leila Alaoui, fotografa dell’umanità, tra le vittime dell’attentato di Ouagadougou

È morta nell’attentato terroristico del 15 gennaio in Burkina Faso. Leila Alaoui ci lascia in eredità un universo fotografico intimo e appassionato.

L’obiettivo di Leila Alaoui inquadrava il mondo con il filtro dell’umanità. La sua professione di fotografa, infatti, era intrisa di militanza. Per le donne, per gli uomini, per la diversità, per le radici culturali dei popoli. Aveva 33 anni, ed è stata uccisa in seguito all’attentato che il 15 gennaio ha scosso la capitale del Burkina Faso, Ouagadougou. Raggiunta da numerosi colpi di arma da fuoco, non è sopravvissuta alle ferite, ed è deceduta il 18 gennaio.

 

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Una delle opere esposte da Leila Alaoui nell’ambito della collezione “Les Marocains”. È l’ultimo lavoro dell’artista ©Lelia Alaoui via Art Factum Gallery – Beirut

Per Leila Alaoui la fotografia era “una missione sociale”

Nata a Parigi nel 1982, aveva sempre vissuto e lavorato tra Marrakech e Beirut, in Libano, dove aveva creato assieme al compagno Nabil Canaan, “la Station”, un centro artistico pluridisciplinare. Era in Burkina Faso per documentare le violenze perpetrate sulle donne nei paesi occidentali del continente, nell’ambito di un progetto promosso da Amnesty International, che ha espresso “grande tristezza” apprendendo la notizia della sua morte.

“La mia è prima di tutto una missione sociale”, spiegava nel 2011, in un’intervista concessa alla rivista marocchina TelQuel. Le sue opere avevano fatto il giro del mondo: ha esposto a New York, Parigi, Buenos Aires. Nella sua ultima mostra, presso la Maison européenne de la Photographie della capitale francese, Leila aveva scelto di illuminare i tratti più profondi e nascosti del Marocco rurale. Raccontato attraverso immagini a grandezza naturale di uomini e donne in posa in costumi tradizionali. “Ho soggiornato in diverse comunità, utilizzando uno sguardo intimo al fine di rivelare la soggettività delle persone che ho fotografato”, spiegava l’artista nel testo redatto per l’esposizione.

 

Il Marocco negli sguardi dei suoi protagonisti

Ne è nato un archivio di tradizioni e di universi estetici, ancestrali, della nazione nordafricana. Recitato dagli stessi custodi di quel patrimonio e raccontato con passione e coraggio: “Avete visto il sorriso radioso che mostrava sempre quando veniva fotografata? Ecco, era questo il suo segreto. Era determinata a difendere la sua causa. Ed era in grado di scovare la bellezza in tutte le cose e in ogni persona. Ritrasmettendocela», , ha testimoniato al quotidiano Le Monde Fatym Layachi, autore franco-marocchino, suo amico d’infanzia.

 

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Ciò che resta del caffè Le Cappuccino di Ouagadougou, in Burkina Faso, dove si trovava anche la fotografa Leila Alaoudi ©Arne Gillis/NurPhoto/Corbis

 

Nel 2013, presso la Fondazione Oriente-Occidente di Rabat, aveva organizzato in collaborazione l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati un atelier con un gruppo di venti tra donne e giovani profughi. Ma dai personaggi che ritraeva, “Leila ha sempre mantenuto una distanza pudica”, ha ricordato al quotidiano francese la mamma, Christine. Ciò che la interessava, di quelle persone, “era la loro vera vita. La vedo ancora sorridere. Sento ancora la sua voce calda. Era tutto questo, Leila”.

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