
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Nel mondo ci sono 6.016 specie di libellule e damigelle. Addirittura il 16 per cento, però, è a rischio di estinzione. A dirlo è la Lista rossa dell’Iucn.
Il loro aspetto leggiadro e delicato non deve trarre in inganno. Predatrici implacabili, le libellule hanno la forza per mantenersi in aria per ore intere senza mai fermarsi, tra un battito d’ali, una planata e una preda catturata direttamente in volo, toccando una velocità di punta di 50 chilometri orari. Sono comparse nel nostro pianeta 300 milioni di anni fa e, all’epoca, avevano dimensioni gigantesche. Eppure, nemmeno loro sono immuni all’ostinata distruzione degli habitat da parte dell’uomo. Addirittura il 16 per cento delle specie conosciute, infatti, è ufficialmente a rischio di estinzione. È quanto emerge dall’ultimo aggiornamento della Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn).
Nel nostro pianeta sono state individuate 6.016 specie di libellule e damigelle (il nome esatto del sottordine è Zigopteri). Addirittura il 16 per cento, però, è a rischio di estinzione. Il caso limite è quello del Sudest asiatico e dell’Asia meridionale, dove gli ecosistemi naturali vengono rimpiazzati da enormi piantagioni intensive di palme da olio e, come risultato, un quarto delle specie è a rischio. Nell’America centrale e meridionale, invece, la principale minaccia è lo sviluppo edilizio. Sullo sfondo, i cambiamenti climatici e l’abuso di sostanze chimiche nocive (pesticidi in primis) che mettono a dura prova la sopravvivenza di questi insetti in tutto il mondo.
La scomparsa delle libellule è una logica conseguenza della distruzione del loro habitat, cioè le zone umide come paludi, torbiere e acquitrini. “Le paludi e le altre zone umide possono sembrare improduttive e inospitali per l’uomo, ma in realtà ci forniscono servizi essenziali. Immagazzinano CO2, ci forniscono acqua pulita e cibo, ci proteggono dalle inondazioni e sono l’habitat per una su dieci delle specie conosciute al mondo”, sottolinea il direttore generale dell’Iucn, Bruno Oberle. Alla luce di questo loro valore, è allarmante che stiano scomparendo a un ritmo che è tre volte più rapido rispetto a quello delle foreste.
Con l’ultimo aggiornamento pubblicato giovedì 9 dicembre, per la prima volta la Lista rossa dell’Iucn supera la soglia simbolica delle 40mila specie a rischio di estinzione. Per la precisione sono 40.084, su un totale di 142.577. “Affrontare la rapida erosione del nostro capitale naturale non è qualcosa che può aspettare; non è qualcosa di facoltativo; non è qualcosa che possiamo semplicemente ignorare”, tuona Nathalie Pettorelli, ricercatrice per la Società zoologica di Londra. Questi ultimi dati, sottolinea, dovrebbero rappresentare “un campanello d’allarme per tutti i governi in vista della Cop 15”, la conferenza mondiale sulla biodiversità che si terrà dal 25 aprile all’8 maggio 2022 nella città cinese di Kunming, dopo essere stata rimandata più volte a causa della pandemia.
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