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Cosa sono, come riconoscerli, perché fanno male alla salute umana e del Pianeta: il libro di Chris van Tulleken spiega i rischi dei cibi ultraprocessati e del sistema alimentare industriale.
Nell’alimentazione contemporanea, la maggior parte delle calorie che si ingeriscono provengono da cibi ultraprocessati, cioè trasformati a livello industriale sostituendo gli ingredienti tradizionali con alternative più economiche e additivi – stabilizzanti, emulsionanti, gomme, lecitina, glucosio, oli di diverso tipo – che ne prolungano la durata di conservazione, facilitano la distribuzione centralizzata e creano dipendenza in chi li consuma.
Alimenti di scarsa qualità che causano problemi di salute come obesità, cardiopatie, sindrome metabolica, tumori, depressione. Ma cosa c’è esattamente nei cibi ultraprocessati, come si riconoscono, quali sono gli effetti sull’organismo e, soprattutto, cosa dovremmo mangiare? Chris van Tulleken medico e scienziato inglese, oltre che pluripremiato giornalista della Bbc affronta ampiamente l’argomento nel libro “Cibi ultraprocessati” (Vallardi) in cui, riportando episodi di vita personale e dialoghi con colleghi esperti, spiega perché il nostro corpo non è evolutivamente in grado di sostenere il cibo ultraprocessato e come si possono evitare le trappole dell’industria alimentare.
Esiste una definizione ampia di cibo ultraprocessato, elaborata la prima volta nel 2010 da un team di scienziati brasiliani con la classificazione Nova, ma secondo Tulleken può essere ridotta a quanto segue: “Se è avvolto nella plastica e contiene almeno un ingrediente che di solito non si troverebbe in una classica cucina, è un cibo ultraprocessato”.
“Abbiamo iniziato a mangiare sostanze costituite da nuove molecole, utilizzando processi mai incontrati prima nella nostra storia evolutiva; sostanze che non potrebbero nemmeno essere chiamate «cibo» – scrive l’autore nell’introduzione –. Queste sostanze sono entrate nella nostra dieta prima gradualmente, a partire dalla fine del XIX secolo, ma il processo si è particolarmente intensificato a partire dagli anni Cinquanta in poi, costituendo una par te significativa della dieta di quasi tutte le società sulla Terra”.
Gelati che non si sciolgono, pane in cassetta che non affatica la mascella, patatine che creano dipendenza e poi zuppe, lasaghe, sughi e salse pronte. Questo è il nuovo sistema di produzione alimentare industriale “in cui noi siamo la preda, la fonte del denaro che alimenta il sistema”. Il cibo ultraprocessato è l’esca e si è evoluto secondo le regole del mercato sovvertendo i sistemi del corpo che regolano il peso e molte altre funzioni. Il paradosso che si è creato è che le cose che vengono mangiate meno sono le più salutari e quelle che vengono consumate maggiormente sono le più dannose per la salute.
Il libro riporta i numerosi studi che associano il consumo di cibo ultraprocessato a un aumento del rischio di mortalità per tutte la cause, malattie cardiovascolari (ictus e infarti), tumori, diabete di tipo 2, fegato grasso, malattie infiammatorie intestinali, depressione, eccesso di grasso nel sangue, sindrome dell’intestino irritabile, demenza.
E i danni provocati dal cibo ultraprocessato non riguardano solo l’organismo umano, ma anche la salute del Pianeta: “Il sistema alimentare necessario alla produzione di questi cibi, e di cui questi costituiscono il prodotto necessario, è la principale causa del declino della biodiversità e il secondo responsabile delle emissioni legate al fenomeno del riscaldamento globale – si legge nel libro –. Il nostro attuale sistema alimentare, guidato dalla crescente domanda di cibi ultraprocessati, sta distruggendo il capitale ecologico molto più velocemente di quanto questo riesca a rigenerarsi”.
Van Tulleken spiega che l’impatto dell’attuale sistema alimentare non è sostenibile per il futuro: “Il costo ambientale è così alto che, anche se azzerassimo tutte le emissioni dei combustibili fossili, le emissioni del solo sistema alimentare globale ci farebbero superare abbondantemente la temuta soglia di 1,5 °C entro il 2100. E, anche se l’impatto ambientale derivante dagli attuali sistemi agricoli e dalla lavorazione del cibo necessario a sfamare 8 miliardi di persone continuerà a sussistere, i cibi ultraprocessati non faranno altro che aggravare una situazione già di per sé compromessa, sia in riferimento alle emissioni di carbonio che alla distruzione dell’ambiente”.
L’astensione dai cibi ultra processati è la soluzione finale per l’autore con la consapevolezza che per mangiare e nutrirci ci vorrà più tempo e occorrerà spendere di più, ma che se ne guadagnerà in qualità della vita. E questo vale per il cibo, ma anche per gli altri prodotti progettati per favorire un consumo eccessivo, dai vestiti ai social media.
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