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La megafauna oceanica è in pericolo, secondo un nuovo studio alcune specie di balene e squali sono sempre più minacciate dalle microplastiche.
La megafauna terrestre che un tempo popolava il pianeta, come mastodonti, rinoceronti lanosi e bradipi giganti, è ormai estinta e la megafauna marina che ancora sopravvive, rischia di fare la stessa fine. A causare il declino dei grandi animali terrestri è stata la crescente diffusione di un superpredatore, l’Homo sapiens, mentre le grandi creature oceaniche, come misticeti, squali balena, squali elefante e mante sono minacciati un nemico subdolo e quasi invisibile (sempre legato all’avvento dell’uomo), le microplastiche.
Secondo lo studio Microplastics: No small problem for filter-feeding megafauna, pubblicato sulla rivista Trends in Ecology & Evolution, gli animali marini che si nutrono di plancton attraverso il filtraggio dell’acqua marina ingeriscono grandi quantità di microplastiche che possono impedire loro di assorbire i nutrienti e avere altri gravi effetti collaterali.
Le cosiddette microplastiche sono particelle di plastica che misurano meno di cinque millimetri e provengono dalla frantumazione dei rifiuti dispersi nell’ambiente, ma possono essere anche un rifiuto primario. L’effettiva entità del problema non è ancora chiara, proprio in virtù della piccola taglia di questi rifiuti, ma la loro presenza sta condizionando pesantemente non solo l’ecosistema marino, ma anche quello lacustre e fluviale.
Anche gli effetti delle microplastiche sulla fauna marina sono ancora poco studiati ma potrebbero essere non meno dannose dei tradizionali rifiuti di platica che infestano gli oceani di tutto il globo. “Nonostante lo studio crescente sulle microplastiche nell’ambiente marino stiamo ancora cercando di capire la grandezza del problema – ha affermato la principale autrice dello studio, Elitza Germanov, ricercatrice della Marine Megafauna Foundation. – È ormai chiaro, tuttavia, che la contaminazione da microplastica può ridurre drasticamente le popolazioni di grandi filtratori, poco feconde e già minacciate da altri problemi”.
Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori della Marine Megafauna Foundation dell’università australiana di Murdoch, dell’Istituto di Biologia marina delle Hawaii e dell’università di Siena, ipotizza che le microplastiche trasmettano tossine agli animali che le ingeriscono. I frammenti di plastica non avrebbero dunque effetti letali per squali e balene, ma “subletali”, come ha spiegato Maria Cristina Fossi, professoressa dell’università di Siena e coautrice dello studio, che potrebbero comprometterne gravemente la salute quando raggiungono gli apparati digestivi. “L’esposizione a queste tossine rappresenta una grave minaccia per la salute di questi animali poiché può alterarne gli ormoni che regolano la crescita, lo sviluppo, il metabolismo e le funzioni riproduttive”, ha dichiarato Maria Cristina Fossi al quotidiano britannico Guardian.
Rivers, Microplastics & Megafauna: 2017 in a Nutshell https://t.co/pvbNeHqqn6 pic.twitter.com/zlBHUzzhon
— Elitza Germanov (@AliceInWaterlnd) 4 gennaio 2018
La ricerca ha dunque evidenziato che anche negli oceani apparentemente più puliti si cela un grave inquinamento da plastica. “Abbiamo analizzato il mare di Cortez, in California, e abbiamo calcolato una presenza di 0,7 frammenti di plastica per metro cubo – ha dichiarato la ricercatrice italiana. – Dunque uno squalo balena può ingerire circa 170 particelle di plastica al giorno”.
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