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Dal 22 febbraio al 6 maggio le sale di Palazzo Reale accolgono le immagini e i materiali di “Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001”, percorso espositivo a cura di Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi.
“Italiana”: in apparenza un semplice aggettivo femminile singolare che, abbinato al sostantivo “moda“, designa un sistema produttivo nazionale rivelatosi in grado di acquisire, nel volgere di pochi decenni, un prestigio e una notorietà planetari. Eppure, ad uno sguardo più attento, il titolo “Italiana” si qualifica come una sorta di neutro plurale, alla latina, cioè come l’insieme di tutti quegli elementi culturali, stilistici, ambientali ed estetici che contraddistinguono la creatività italiana, rendendola riconoscibile e rinomata nel mondo.
In tale prospettiva la mostra Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001, visitabile a Palazzo Reale, a Milano dal 22 febbraio al 6 maggio, intende dispiegare una visuale ampia, a 360 gradi, di una stagione particolarmente feconda per la produzione manifatturiera del Belpaese: non solo abiti, stilisti e oggetti di pregio ma anche tendenze, mutamenti sociali e politici, architettura, arte, design e fermenti intellettuali che la moda assimila e riverbera. Non a caso il vernissage è previsto per mercoledì 21 febbraio, proprio nell’ambito di quell’ormai rituale settimana della moda che celebra Milano come capitale conclamata del prêt-à-porter.
Il percorso espositivo della mostra focalizza l’attenzione su un segmento temporale delimitato da due date convenzionali ma altamente emblematiche: il 1971, anno di nascita del prêt-à-porter italiano, inteso come settore nettamente distinto dall’alta moda, e il 2001 che, con l’avvento del nuovo millennio e lo spartiacque dell’11 settembre, inaugura la fase della piena globalizzazione. È in questo trentennio che si ritiene di poter identificare la fase fondativa e germinale di quel made in Italy intorno al quale sarebbe poi fiorita in breve tempo una vera e propria mitologia.
La mostra, che si avvale del contributo dell’architetto Annabelle Selldorf (già nota per gli allestimenti creati alla Biennale di Venezia) e della curatela di Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi, intende dunque prospettare la moda come prisma dei mutamenti culturali di un’epoca, cioè come chiave di lettura capace di restituirne fermenti e atmosfere.
A tal fine l’itinerario si snoda non secondo una banale successione cronologica bensì attraverso nove stanze corrispondenti ad altrettanti ambiti tematici, ovvero: identità, democrazia, in forma di logo, diorama, project room, bazar, postproduzione, glocal, l’Italia degli oggetti.
Chi immagina di imbattersi in una mostra limitata esclusivamente alle creazioni dei nostri stilisti più iconici (da Armani a Valentino, da Prada a Gucci, Fendi e moltissimi altri), dovrà inevitabilmente ricredersi: “Italiana” annovera a pieno titolo tra i propri protagonisti le voci più autorevoli della fotografia e dell’arte contemporanea, imprescindibili punti di riferimento di quelle tendenze e di quei fermenti creativi di cui la moda ha saputo rendersi interprete.
Dunque non solo fotografi del calibro di Oliviero Toscani, Giovanni Gastel, Fabrizio Ferri o Paolo Roversi, ma anche artisti dalla fama ormai consolidata, che dalle valenze estetico-sociali della moda hanno tratto spesso e volentieri materia di ispirazione per le proprie opere, com’è appunto avvenuto nel caso di Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan, Francesco Vezzoli, Michelangelo Pistoletto e numerosi altri loro colleghi.
E del resto il tema della contiguità tra l’oggetto d’arte e il manufatto di uso concreto, quale appunto un indumento destinato ad essere indossato, rappresenta da sempre una delle più avvincenti e dibattute questioni filosofiche relative al misterioso ma palpabile legame tra moda e arte.
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