L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
L’Azerbaijan ha riconquistato il Nagorno-Karabakh. E la popolazione armena è in fuga per timore di subire una pulizia etnica.
La situazione in Nagorno-Karabakh rischia di trasformarsi in una tragedia umanitaria, dopo che l’Azerbaijan ha preso il controllo del territorio. La scorsa settimana l’esercito di Baku ha compiuto un’operazione militare lampo che ha di fatto dissolto lo stato separatista, situato in territorio azero ma abitato per la maggior parte da persone di etnia armena. La resa delle autorità del Nagorno-Karabakh, che dispone di istituzioni e di un esercito propri, ha di fatto posto fine a una guerra che andava avanti da 30 anni. E ora è iniziata la fuga della popolazione armena dal territorio, per il timore di subire violenze e discriminazioni da parte delle forze dell’Azerbaijan.
Intanto si è aggravato il bilancio dei morti tra la popolazione armena: sono centinaia i caduti per l’operazione militare azera, a cui si aggiungono oltre 60 morti per l’esplosione di un deposito di carburante a Stepanakert.
Le tensioni in Nagorno-Karabakh iniziano nel 1921, quando il leader dell’Unione sovietica Josip Stalin assegnò il territorio, popolato per la stragrande maggioranza da genti armene, all’Azerbaijan. Negli anni la convivenza tra la comunità azera e quella armena si è fatta sempre più difficile e questo ha portato a una guerra tra il 1992 e il 1994 che ha provocato 30mila morti e che si è conclusa con la vittoria degli armeni. Questi hanno preso controllo dell’intera regione e hanno proclamato la nascita della Repubblica separatista dell’Artsakh.
La tensione nel territorio del Nagorno-Karabakh non è mai scemata in questi 30 anni, con scontri e scaramucce che si sono alternati a momenti di fragile tranquillità. Nel 2020 l’Azerbaijan ha attaccato il territorio arrivando, dopo 44 giorni di scontri, a occupare gran parte della regione. Alla fine del 2022 ha bloccato il corridoio di Lachin, l’unica strada che mette in collegamento l’area con l’Armenia e la circolazione di beni di prima necessità. E ora ha completato l’opera.
Il 19 settembre a Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh, hanno risuonato le sirene e le forze azere hanno dato vita a un’operazione militare lampo “contro il terrorismo”, che in realtà è servita per riconquistare tutto il territorio separatista. Ci sono voluti solo due giorni perché l’esercito locale, isolato e impreparato rispetto alle forze azere, si arrendesse. Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, ha annunciato in un discorso alla nazione che “Il Karabakh è Azerbaijan”. E si è messo al lavoro con le autorità locali per definire la fine del conflitto.
Il Nagorno-Karabakh non era mai stato in difficoltà come negli ultimi mesi. La chiusura del corridoio di Lachin da parte delle forze azere ha stremato la popolazione, che si è trovata privata anche di beni alimentari e medicinali. Le forze russe presenti nell’area con compiti di peacekeeping sono rimaste perlopiù a guardare, anche perché negli ultimi tempi l’Armenia si è avvicinata all’Europa in termini diplomatici e questo ha raffreddato i rapporti con Mosca.
Ora il timore è che la popolazione armena del Nagorno-Karabakh possa andare incontro a una catastrofe umanitaria. Il presidente dell’Azerbaijan ha assicurato che saranno garantiti tutti i diritti e le libertà fondamentali, ma è una promessa che lascia il tempo che trova. Baku negli ultimi mesi non si è fatta problemi a ridurre alla fame gli armeni dell’area con il blocco del corridoio di Lachin, inoltre quello dell’Azerbaijan è un regime che anche in patria perseguita le minoranze. Questi elementi hanno fatto crescere nel popolo armeno del Nagorno-Karabakh la paura di subire pulizia etnica e discriminazioni. E ne è derivata una fuga di massa.
Il territorio nel giro di pochi giorni si è svuotato di circa un quarto della sua popolazione. Circa 28mila persone hanno lasciato le proprie case per raggiungere l’Armenia, con file infinite di automobili e aeroporti presi d’assalto. A Kornidzor, il primo centro armeno al di là del confine, è stato allestito un punto di assistenza umanitaria da cui sono già passate migliaia di persone. E ora l’Armenia, un paese dove il 26,5 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, dovrà gestire l’ingente flusso di rifugiati.
Le autorità armene hanno fatto sapere di aver ricevuto 125 corpi dal Nagorno-Karabakh per identificazione. Sono una parte delle vittime dei combattimenti con le forze azere, un numero sicuramente sottodimensionato rispetto al bilancio reale. Che nel frattempo si è aggravato per una nuova tragedia a Stepanakert.
Oltre 60 persone sono morte e un centinaio sono disperse per l’esplosione di un deposito di carburante. Le persone si trovavano probabilmente in fila nell’edificio per recuperare carburante per le loro macchine, per poi mettersi in viaggio verso l’Armenia. Le autorità locali hanno detto che l’esplosione è stata frutto di negligenza e non ci sarebbero prove di sabotaggio. Gli ospedali di Stepanakert si trovano ora al collasso, dal momento che si trovano a offrire cure a centinaia se non migliaia di persone, sia quelle ferite dagli scontri con le forze azere, sia i 300 feriti dell’esplosione del deposito di carburante. La situazione umanitaria complessiva, in Nagorno-Karabakh, è critica.
Intanto sulla situazione nell’area è intervenuta la comunità internazionale. Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, ha diffuso una missiva in cui assicura “pieno sostegno all’Armenia”, mentre Samantha Power, direttrice di Usaid (l’agenzia di cooperazione Usa), ha denunciato violenze contro i civili armeni da parte delle forze azere.
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