Anche una nuova specie scoperta nella Fossa delle Marianne contiene plastica

La nuova specie di anfipode, scoperta in uno dei luoghi più remoti del pianeta e già contaminata dalla plastica, è stata chiamata Eurythenes plasticus.

La Fossa delle Marianne è, con i suoi quasi 11mila metri di profondità, uno dei luoghi più remoti e misteriosi del pianeta. Questa depressione oceanica, situata nell’oceano Pacifico, è abitata da creature bizzarre, adattatesi alle estreme condizioni ambientali, molte delle quali ancora sconosciute. Eppure anche laggiù, nelle fredde e perennemente oscure acque abissali, si possono trovare tracce dello spropositato impatto umano sulla natura.

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Un’ulteriore conferma è arrivata dalla scoperta di una nuova specie ancora ignota alla scienza, recentemente classificata. È una specie di anfipode, appartenente a un diversificato gruppo di crostacei che popola gran parte dei fondali marini della Terra. Nell’intestino di questa creatura, lunga circa cinque centimetri e dall’aspetto vagamente simile a un gamberetto, i ricercatori hanno infatti trovato tracce di polietilene tereftalato, noto come PET, resina plastica utilizzata, tra le altre cose, per realizzare le bottiglie per acqua e bevande.

 

Il destino nel nome

Proprio la contaminazione da plastica ha influenzato la scelta del nome. La nuova specie è stata battezzata Eurythenes plasticus ed è stata descritta nello studio New species of Eurythenes from hadal depths of the Mariana Trench, Pacific Ocean (Crustacea: Amphipoda), pubblicato su Zootaxa da un team di ricercatori della School of natural and environmental sciences dell’università di Newcastle e supportato dal Wwf.

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“Abbiamo scelto il nome Eurythenes plasticus perché volevamo sottolineare il fatto che dobbiamo agire immediatamente per fermare il diluvio di rifiuti di plastica che si riversa nei nostri oceani”, ha affermato Alan Jamieson, il ricercatore di ecologia marina che ha guidato lo studio.

Oceani di plastica

Nelle meduse, nelle tartarughe, nelle balene, negli squali e, inevitabilmente, dentro di noi. Che la plastica sia un problema serio non è dunque un mistero. Che una nuova specie, che vive in un habitat inesplorato, sia già contaminata da plastica dovrebbe essere un ulteriore e inequivocabile segnale che la misura è colma.

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Si stima che ogni minuto almeno un carico di camion di rifiuti di plastica entri negli oceani. Per contrastare questa piaga occorrono soluzioni politiche condivise. Per raggiungere questo obiettivo, nel 2019 il Wwf ha lanciato una campagna internazionale “chiedendo un trattato globale giuridicamente vincolante per ridurre i rifiuti di plastica, migliorarne la gestione e porre fine all’inquinamento marino da plastica”.

Particelle di microplastiche sulla punta di un dito
La plastica viaggia nei fiumi fino al mare, qui, grazie al costante lavorio di onde e correnti, si disintegra in minuscoli frammenti che distribuiti in tutto il mondo dalle correnti marine ed entrano nella catena trofica risalendola fino al vertice © MPCA Photos/Flickr

Gli effetti della nostra miopia

“La specie appena scoperta, Eurythenes plasticus, ci mostra quanto siano gravi gli effetti della gestione inadeguata dei rifiuti di plastica – ha dichiarato Isabella Pratesi, direttore Conservazione di Wwf Italia -. Specie che vivono nei luoghi più profondi e remoti della Terra hanno già ingerito plastica prima ancora di essere conosciute dall’umanità. La plastica è nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo e ora anche negli animali che vivono lontano dalla civiltà umana”.

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