Oceani, cosa cambia con l’entrata in vigore del Trattato sull’alto mare

Con la ratifica da parte di 68 governi, assieme a 143 firme, il Trattato sull’alto mare potrà entrare in vigore il 17 gennaio 2026.

La terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani (Unoc3) che si è tenuta a Nizza dal 9 al 13 giugno aveva consentito di avvicinarsi fortemente alla ratifica del Trattato sull’alto mare, che dovrebbe consentire di proteggere la biodiversità marina in acque internazionali, ovvero quelle situate a più di 200 miglia nautiche (370 chilometri) dalle coste, e che per questo non ricadono nella giurisdizione di un singolo paese. Al termine del summit in Francia, mancavano infatti solo una decina di ratifiche, e il 17 settembre è stata raggiunta la quota minima necessaria: 68 governi hanno deciso di adottare il testo (e un totale di 143 lo ha firmato), che entrerà così in vigore 120 giorni più tardi, ovvero il 17 gennaio 2026.

Cosa permetterà di fare il Trattato sull’alto mare (e cosa no)

Il Trattato sull’alto mare è centrato sulla tutela e lo sfruttamento sostenibile della diversità biologica marina nelle “acque di nessuno”, quelle appunto internazionali. Dovrebbe essere di fatto la Conferenza delle parti (Cop) dedicata agli oceani a dover tentare di imporre le proprie decisioni, assieme ad altre organizzazioni regionali alle quali è stata attribuita in passato autorità su alcune porzioni di superficie marina (ad esempio in materia di pesca o di esplorazioni minerarie).

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Gli oceani sono uno dei pilastri della vita sulla Terra © Joel Vodell/Unsplash

Tuttavia, il condizionale è però d’obbligo. In primo luogo, tutto ciò che sarà deciso a livello internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite sugli oceani sarà vincolante solo sulla carta. I governi che hanno ratificato il trattato si impegnano infatti a rispettarlo, ma non sono previsti impianti sanzionatori per chi non lo facesse. Inoltre, non tutte le nazioni hanno adottato il testo, perciò ci sarà chi potrà continuare ad operare secondo criteri propri.

Ad esempio, di recente gli Stati Uniti di Donald Trump hanno deciso di concedere permessi per lo sfruttamento minerario nei fondali di acque internazionali. E lo hanno fatto in modo unilaterale, dal momento che Washington non fa parte neppure dell’Autorità internazionale dei fondali marini (Isa).

Si punta sulle aree protette, ma non si sa in che modo saranno create e difese

Ciò detto, nella speranza che (almeno) i paesi che hanno adottato il Trattato vorranno rispettarlo, il principale strumento a disposizione delle Cop sugli oceani è rappresentato dalle aree marine protette. Queste ultime, infatti, per ora sono presenti quasi unicamente all’interno delle acque territoriali di ciascun  paese. Ora, le Nazioni Unite potranno proporne anche in quelle internazionali (sulla base di precise procedure e previa richiesta da parte di più nazioni).

https://twtter.com/IocUnesco/status/1970516373106302992

Il Trattato sull’alto mare non specifica però in che modo, concretamente, saranno create e difese queste aree. Una questione particolarmente complessa, tenuto conto del fatto che le zone in questione potrebbero essere estremamente vaste e molto remote.

Spetterà ai governi, e non all’Onu, autorizzare le attività negli oceani: deluse le Ong

È stato solo deciso che, ai governi che vogliano effettuare attività in alto mare, è richiesto di valutare gli impatti negativi possibili, tra quelli “non minori o transitori”. Dovranno inoltre pubblicare rapporti ad hoc nel tempo, al fine di permettere un monitoraggio continuo delle diverse situazioni.

Ma resterà in capo al singolo stato la decisione finale sull’autorizzazione, ad esempio, di una trivellazione. Un punto che ha deluso fortemente le organizzazioni non governative ecologiste, secondo le quali se le concessioni fossero approvate dalle Cop, le garanzie per l’ambiente sarebbero decisamente maggiori.

Il Trattato sull’alto mare non specifica le attività a cui si applica

Inoltre, a lasciare perplessi è il fatto che il Trattato sull’alto mare non presenti un elenco delle attività in questione. Si può immaginare che pesca, trasporti ed esplorazioni minerarie facciano parte di quelle a cui si applicherà il testo ma, da un punto di vista prettamente giuridico, la mancanza di una lista potrebbe creare problemi.

Si sa che non saranno escluse le nazioni prive di affaccio sul mare. Ciò anche nell’ottica di un tentativo di distribuzione più equa delle risorse, ad esempio a favore di aziende farmaceutiche che possano averne bisogno per le loro produzioni. Dal punto di vista della ricerca scientifica, inoltre, si punta a creare una condivisione delle conoscenze, attraverso una “piattaforma ad accesso libero”.

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