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Lo sguardo dell’Unesco sta volgendo verso alcune aree oceaniche lontane dalle coste, luoghi ameni e non appartenenti al territorio di alcuno stato sovrano. Si sta concretizzando una nuova generazione di patrimoni dell’umanità che comprenderà cinque aree particolarmente preziose per la biodiversità, alcune per la presenza di specie rare di coralli e altre perché sono luogo di
Lo sguardo dell’Unesco sta volgendo verso alcune aree oceaniche lontane dalle coste, luoghi ameni e non appartenenti al territorio di alcuno stato sovrano. Si sta concretizzando una nuova generazione di patrimoni dell’umanità che comprenderà cinque aree particolarmente preziose per la biodiversità, alcune per la presenza di specie rare di coralli e altre perché sono luogo di ritrovo per gli squali bianchi. Nel mondo, ci sono attualmente 1.052 siti, tra cui figurano anche alcuni habitat sottomarini come la Grande barriera corallina australiana.
Le aree in alto mare che non ricadono sotto la responsabilità di alcuno stato e vengono comprese nelle cosiddette “acque internazionali”, hanno sempre rappresentato una zona grigia per l’Unesco. Questo perché solitamente sono i governi a chiedere l’introduzione di un determinato sito nella lista del Patrimoni; le acque internazionali costituiscono un caso a parte.
Lontane dalle nostre coste, queste sono minacciati da fattori come il cambiamento climatico, l’inquinamento e i rischi connessi al traffico navale. In un rapporto uscito a inizio agosto, l’Unesco ha finalmente nominato i primi cinque siti ubicati in oceano aperto.
La designazione di un luogo come patrimonio dell’umanità comporta dei trasferimenti dal World heritage fund dell’Unesco allo stato che ha il dovere di tutelare e preservare il sito. Non è ancora chiaro come l’Unesco abbia intenzione di agire nei confronti di quelli in acque internazionali. La preoccupazione è che ondate di turisti possano invadere questi habitat, compromettendone i fragili ecosistemi.
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