Passi avanti per il Trattato sull’alto mare, stallo sulle estrazioni minerarie, tentativi di riprendere i negoziati sulla plastica: il bilancio della Conferenza Onu sugli oceani (Unoc3) che si è tenuta a Nizza dal 9 al 13 giugno.
Dal 9 al 13 giugno la città francese di Nizza ha ospitato la terza Conferenza Onu sugli oceani.
Più vicina l’entrata in vigore del Trattato sull’alto mare: mancano appena dieci ratifiche.
La Polinesia francese ha annunciato l’istituzione dell’area marina protetta più grande del mondo.
I governi si dicono determinati anche a procedere con i negoziati sull’inquinamento da plastica.
Si chiude con una dichiarazione politica non vincolante firmata da oltre 170 paesi la terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani (Unoc3). Il summit di alto livello, presieduto congiuntamente da Francia e Costa Rica, si è tenuto nella città francese di Nizza dal 9 al 13 giugno. Insieme agli impegni volontari assunti da stati e altre organizzazioni, la dichiarazione – intitolata “Il nostro oceano, il nostro futuro: uniti per agire con urgenza” – costituisce il Piano d’azione per gli oceani di Nizza.
La dichiarazione conclusiva della Conferenza Onu sugli oceani di Nizza
“L’oceano e i suoi ecosistemi subiscono gli effetti avversi dei cambiamenti climatici, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento. L’azione non procede alla velocità né alla scala che sarebbe necessaria per realizzare il 14o Obiettivo di sviluppo sostenibile e l’Agenda 2030”, si legge nella dichiarazione conclusiva della Conferenza Onu sugli oceani di Nizza.
Nove pagine che esortano a rispettare gli impegni presi – tra gli altri – con l’Accordo di Parigi sul clima e il Quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal, ad affrontare il problema dell’inquinamento da plastica con un mix di misure obbligatorie e volontarie, a fare ricorso alle soluzioni basate sulla natura per salvaguardare le aree costiere. Tuttavia, non nominano mai i combustibili fossili, principali responsabili della crisi climatica in corso.
Il documento riconosce “le enormi opportunità offerte dalle economie sostenibili basate sull’oceano”, soprattutto per i piccoli stati insulari e i paesi in via di sviluppo. Purché sia sostenibile, appunto: pertanto, desta “profonda preoccupazione” lo stato di sfruttamento degli stock ittici.
🐙🦞🐟🐡🦐@FAO released the most detailed report ever on the state of marine fish stocks.
Data shows that some of the world’s fisheries are recovering thanks to effective, science-based management.
— Food and Agriculture Organization (@FAO) June 13, 2025
Per affrontare questi e gli altri grandi temi menzionati servono finanziamenti. Finanziamenti che, finora, sono stati molto più scarni del necessario. Gli stati invocano una grande mobilitazione di risorse da tutte le fonti, anche attraverso strumenti finanziari ad hoc come i blue bond, che devono procedere in parallelo con i finanziamenti agevolati, a fondo perduto e gli strumenti non basati sul debito a favore dei paesi in via di sviluppo.
Più vicina l’entrata in vigore del Trattato sull’alto mare
Tra i successi diplomatici della Conferenza Onu sugli oceani di Nizza c’è senza dubbio il fatto che cinquanta paesi abbiano ratificato il Trattato sull’alto mare; fino alla vigilia del summit erano appena 27. Un’altra decina di stati ha promesso di fare lo stesso entro la fine dell’anno. Si avvicina così la soglia delle sessanta ratifiche, necessaria per la sua entrata in vigore. A quel punto, si terrà la prima Conferenza delle parti (Cop) sugli oceani.
Approvato nel 2023 dopo quindici lunghi anni di negoziati, il Trattato sull’alto mare serve per proteggere la biodiversità marina nelle acque internazionali, cioè quelle che si trovano oltre le 200 miglia nautiche dalla costa e dunque non rientrano nella giurisdizione di un singolo stato. Sono circa i due terzi del totale e finora sono state soggette ad accordi e convenzioni eterogenee, a macchia di leopardo.
In linea con l’obiettivo globale di proteggere almeno il 30 per cento dei mari entro il 2030, il Trattato sull’alto mare – una volta in vigore – creerà un meccanismo per istituire aree marine protette in acque internazionali. Inoltre, metterà a punto processi e standard internazionali, univoci e trasparenti a cui stati e aziende dovranno attenersi per poter sfruttare economicamente le risorse custodite negli oceani.
As #UNOC3 closes in Nice, we’re celebrating a powerful surge in momentum for the #HighSeasTreaty.
We are just 10 ratifications away from 60 needed. Let’s keep the momentum going. Ratify now!
— High Seas Alliance (@HighSeasAllianc) June 13, 2025
La Polinesia francese istituisce l’area marina protetta più grande del mondo
Attualmente, circa il 10 per cento degli oceani è protetto. Una percentuale che è stata raggiunta anche grazie agli annunci fatti durante la Conferenza Onu sugli oceani di Nizza. La Polinesia francese ad esempio ha battuto ogni record designando un’area protetta con un’estensione di 4,8 milioni di chilometri quadrati: la più grande finora era il monumento nazionale statunitense di Papahānaumokuākea che si limita (si fa per dire) a 1,5 milioni di chilometri quadrati.
La nuova area marina protetta coprirà per intero la zona economia esclusiva della Polinesia francese. 900mila chilometri quadrati saranno sottoposti alle norme più rigorose previste dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), vale a dire le categorie I e II di protezione ambientale. Ciò significa che saranno permessi l’ecoturismo, la pesca traduzionale e la ricerca scientifica, ma non le attività industriali, le estrazioni minerarie e la pesca commerciale intensiva.
Verso la ripresa dei negoziati sull’inquinamento da plastica
Lavorare sul futuro degli oceani inevitabilmente significa affrontare una delle più grandi emergenze ambientali che li minacciano, vale a dire l’inquinamento da plastica. I numeri sono impressionanti. Senza un drastico cambio di rotta, la quantità di plastica che finisce nelle acque arriverà a 37 milioni di tonnellate all’anno entro il 2040. Per questo, nel 2022 hanno preso il via i negoziati per stilare un trattatogiuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica. Ben cinque le sessioni che si sono susseguite nell’arco di meno di due anni: un ritmo molto più rapido del consueto. Eppure, finora tutti questi summit si sono conclusi con un nulla di fatto.
A Nizza si è discusso anche di questo, durante un vertice informale guidato da Inger Andersen, direttrice del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). L’incontro, a porte chiuse, ha visto confrontarsi una quarantina di ministri. Che sono apparsi determinati a ripartire dalla bozza discussa lo scorso anno a Busan, in Corea del Sud, per arrivare finalmente a un accordo. L’appuntamento è ad agosto a Ginevra, in Svizzera. Il testo, ancora in fase di definizione, dovrebbe includere misure – volontarie e obbligatorie – che riguardano l’intero ciclo di vita della plastica. Coerentemente con l’architettura istituzionale tipica dei trattati multilaterali, il testo finale dovrebbe essere adottato formalmente e poi ratificato dai singoli stati.
Un’ambizione del genere si scontra anche con forti interessi economici. Lo dimostra il fatto che, durante la Conferenza Onu sugli oceani, i ministri di 97 paesi abbiano firmato una dichiarazione politica congiunta che chiede un trattato ambizioso. Ma soltanto uno di essi – il Canada – è tra i primi dieci produttori globali di petrolio. L’industria petrolifera, infatti, considera la plastica come il “salvagente” che può permetterle di mantenere costanti i volumi di produzione nonostante il calo della domanda dovuto alla transizione energetica e all’elettrificazione della mobilità.
Guterres: “Il nemico degli oceani è l’avidità”
Durissime le parole del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, intervenuto in conferenza stampa durante la seconda giornata della Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani. “Siamo a Nizza con una missione: salvare l’oceano per salvare il nostro futuro”, ha dichiarato, mettendo bene in chiaro come l’umanità si stia avvicinando pericolosamente a un punto di non ritorno oltre il quale sarebbe impossibile riparare ai danni fatti. E puntando il dito contro il vero nemico che sta spingendo gli oceani sull’orlo del collasso: “l’avidità”. “Non possiamo permettere che sia l’avidità a decidere il destino del nostro pianeta”, ha ribadito.
Pesca, inquinamento da plastica, crisi climatica e Trattato sull’alto mare: queste, secondo Guterres, sono le quattro priorità assolute sulle quali lavorare. Creando una grande coalizione globale che veda governi, aziende, pescatori e scienziati schierati dalla stessa parte. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Guterres ha espresso anche sostegno alla International seabed authority, incaricata di emanare un regolamento ad hoc sullo sfruttamento minerario dei fondali marini in acque internazionali. Lanciando un monito: i fondali non diventino il “far west” dello sfruttamento senza regole.
Il nodo delle estrazioni minerarie dai fondali marini
Anche il presidente francese Emmanuel Macron, durante l’apertura della Conferenza Onu sugli oceani di Nizza, aveva espresso una posizione piuttosto drastica sull’estrazione mineraria dai fondali marini (deep sea mining). “L’oceano non è in vendita. Stiamo parlando di un bene comune condiviso”, aveva dichiarato. “Penso sia una follia avviare un’azione economica predatoria che sconvolgerà i fondali marini, comprometterà la biodiversità e la distruggerà”. Ma ad oggi, nonostante la International seabed authority ne discuta da anni, la questione è ancora apertissima. E nemmeno il vertice di Nizza è bastato per fare chiarezza.
In vista dell’appuntamento, duemila scienziati avevano fatto appello ai governi affinché fermassero tutte le esplorazioni dei fondali. Soprattutto perché questi ultimi, per oltre il 99 per cento, non sono ancora stati mappati. Il che significa che non è possibile stimare in alcun modo le possibili conseguenze di operazioni così invasive. Nonostante ciò, soltanto 37 paesi hanno chiesto una moratoria sul deep sea mining. Lo scorso aprile il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha già approfittato della lentezza del multilateralismo per aggirarlo. Firmando un decreto presidenziale che chiede di accelerare la revisione e il rilascio delle licenze, sia per l’esplorazione sia per lo sfruttamento commerciale, anche in acque internazionali.
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