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Tutto il mondo è rimasto affascinato dalla storia di Patrick Kilonzo Mwalua, il keniano che percorreva decine di chilometri a bordo di uno sgangherato furgone a noleggio pur di portare da bere agli animali durante la siccità. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare il suo nuovo progetto.
Quando risponde al telefono, avvertiamo subito il cinguettio degli uccellini. “Sai, qui a Milano li sentiamo di rado, dalla finestra vediamo più che altro automobili e grattacieli”, gli confessiamo, forse un po’ invidiosi che Patrick Kilonzo Mwalua stia trascorrendo l’isolamento immerso nella natura. “Amo questo posto”, conferma lui. Ci manda qualche foto su Whatsapp. Il cielo azzurro è velato da soffici nuvole che sembrano ciuffi di panna montata, il prato incolto è costellato di una miriade di fiori bianchi dei quali ci sembra di percepire il profumo nonostante la distanza. Non c’è alcuna costruzione all’orizzonte, soltanto una bimba che gioca con le caprette, a piedi nudi sulla sabbia.
Mwalua è da molti considerato un eroe. Quando glielo facciamo notare, scoppia in una risata sincera e melodiosa. La fama che ha ottenuto non lo ha cambiato: a muoverlo è sempre l’amore per gli animali e per il suo territorio, una remota regione del Kenya ad una cinquantina di chilometri dal Parco nazionale dello Tsavo. Tutto è cominciato nel novembre del 2016, quando quest’uomo ha deciso di noleggiare un furgone, mettersi al volante e guidare per ore pur di portare da bere alla fauna locale, minacciata da una fortissima siccità. Da quel momento il suo soprannome è stato “water man”, l’uomo dell’acqua. Bufali e zebre sanno di poter contare su di lui. Ora che quel progetto è divenuto solido grazie ai contributi di chi ha creduto nelle sue potenzialità, Mwalua vuole lanciarne un altro. Qualcosa di tanto semplice quanto geniale, che in un colpo solo contribuirebbe alla salvaguardia degli elefanti, delle api e dei keniani: coltivare girasoli.
Perché nel 2016 hai deciso di guidare per cinquanta chilometri, almeno quattro volte a settimana, per portare l’acqua agli animali selvatici?
Al tempo c’era una forte siccità, non pioveva e faceva molto caldo. Gli animali erano sul punto di morire. Qualche anno prima li avevo già visti soccombere, probabilmente per gli stessi motivi, e non volevo che accadesse di nuovo. Per questo ho deciso di fare qualcosa, di provare a salvarli. Noi umani siamo responsabili dei cambiamenti climatici. Quindi ho voluto assumermi questa responsabilità, prendendomi cura degli animali.
Un giorno, nel parco, ho visto un bufalo che cercava di abbeverarsi ad una pozza d’acqua vuota. Quella scena mi ha spezzato il cuore. Ho pensato che avrei potuto trovarmi nella stessa situazione, che tutti noi avremmo potuto sperimentare una cosa simile. Io, in quanto essere umano, potevo procurarmi l’acqua da qualche altra parte, ma gli animali no. Nel parco non ce n’era più, da nessuna parte. Per questo ho deciso di portarcela io. Sia per la passione che ho sempre avuto nei confronti della natura, sia perché ci tenevo davvero.
Come si è evoluto il progetto da allora?
Quando ho cominciato, avevo pochissimi soldi. Quei pochi che avevo, li utilizzavo per noleggiare il furgone con cui trasportare l’acqua. Poi, quando le persone hanno visto su Facebook quello che stavo facendo, hanno iniziato a contribuire. In particolare, una signora degli Stati Uniti ha lanciato una raccolta fondi. Così sono riuscito a comprare il furgone, e portare da bere agli animali è diventata un’attività regolare. Ho costruito delle dighe per raccogliere l’acqua piovana con cui riempire le pozze, inoltre ho installato delle pompe ad energia solare per poterla pompare anche a molti chilometri di distanza.
Hai modo di assistere ogni giorno agli effetti dei cambiamenti climatici?
Assolutamente. Vivo in un’area molto remota, dove abitano circa 2.500 persone sparse su tutto il territorio. Quando ero giovane, la situazione era migliore. Crescendo, le cose sono cambiate. Per esempio l’andamento delle piogge: prima arrivavano, stagione dopo stagione, ma la stranezza del clima le ha influenzate. A volte rimaniamo senza una goccia d’acqua. Oppure piove quando meno ce l’aspettiamo. Ho visto molti cambiamenti. Prima c’erano tanti alberi nel villaggio, ma con lo sviluppo, la costruzione delle fattorie… Qui le persone sono povere, dipendono dal carbone, per questo tagliano gli alberi più grossi. E quando tagli un albero, ci vogliono diversi anni prima che cresca di nuovo. Anzi, senz’acqua diventa molto difficile veder nascere nuovi alberi.
Ora stai lavorando ad una nuova iniziativa. Ce la puoi illustrare?
Dal momento che viviamo vicino al parco, e nei dintorni ci sono molti ranch con tanti animali selvatici come bufali ed elefanti, quando le persone piantano le sementi – soprattutto il mais – gli animali si avvicinano ai villaggi e distruggono le fattorie. Agli elefanti piace il mais. Questo provoca dei conflitti con gli abitanti. Quindi ho deciso di svolgere delle ricerche e ho scoperto che gli elefanti non mangiano i girasoli. Ho provato a piantarli: gli elefanti si sono avvicinati per vedere cosa fossero, ma non li hanno mai mangiati.
I girasoli mi piacciono perché dai semi si può ricavare l’olio, che può essere consumato in casa propria per cucinare oppure venduto. Se ne può anche ricavare un mangime per i polli e per il bestiame, per esempio le vacche. I fiori, poi, attraggono le api: così riusciamo a salvare sia questi preziosi insetti, che si nutrono del nettare, sia gli elefanti che, impauriti dal ronzio, non si avvicinano più ai campi coltivati. E al tempo stesso aiutiamo le persone.
Hai lanciato un’altra raccolta fondi?
Certo. Dall’India ho ricevuto dei fondi per produrre acqua dall’atmosfera. Poi ho lanciato una campagna collegata al mio sito web. Ho un’organizzazione che si chiama Mwalua wildlife trust.
Qual è l’impatto del coronavirus sulla tua comunità?
I suoi effetti si stanno ripercuotendo sia su di noi sia sugli animali. Senza turisti, i ranger non vengono pagati e sono costretti a lasciare il parco per tornare a casa. Senza di loro, gli animali sono meno protetti dai bracconieri. Al momento la situazione non è facile. Con i soldi che sto raccogliendo sto anche comprando il cibo per i ranger, a cui presto forniremo anche mascherine e disinfettanti.
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